13 – Il camaleonte e le sue bugie

Viveva in una foresta dell’Africa un grosso camaleonte quasi tutto verde, con macchie di altri colori qua e là e gli occhi strani. Alberi immensi, colori intensi, foglie fitte sulle fronde che lasciavano appena qualche buco dove passava un raggio di sole, il verde dominava tanto che appariva quasi nero al riparo dalla luce forte. In questo ambiente ogni giorno la bestiola vagando piano e poco sopra una pianta di banano era divenuto amico di una bellissima farfalla, che pure viveva lì intorno senza spostarsi troppo dalla stessa pianta. Ma…

Le cose erano andate così. Il camaleonte più volte aveva avuto la tentazione di mangiarsela ed era stato per colpirla con una bordata di lingua, poi ci aveva sempre ripensato, perché la vedeva troppo bella rispetto a lui. Anzi, non solo non la colpì mai, ma dentro di sé era nata una gran curiosità di sapere perché lei era tanto bella e leggiadra a differenza di lui tanto goffo e brutto.

Questa vicinanza col tempo divenne quasi una convivenza e andò avanti a lungo. All’inizio i due si guardavano a vicenda con reciproca diffidenza. Diffidenza che, però, ogni giorno diminuiva e, quando un giorno il camaleonte prese coraggio di attaccare discorso, ormai era quasi familiarità. Si salutarono e si scambiarono convenevoli. Per diverso tempo fu così: divennero amici e le cose da dirsi e da chiedersi crebbero:

  1. Buon giorno farfalla, – attaccò quella volta il camaleonte -. Tutti i giorni ti vedo svolazzare vicino a me, sei allegra, sei felice, così mi pare, e poi sei tanto bella. Anzi sei bellissima. Ti invidio. Perché io son così brutto e tu bellissima?

  2. Io nacqui dai miei genitori che si volevano tanto bene; anzi durante la loro breve vita vivevano ogni giorno in festa. Si inseguivano in volo e si scambiavano tanto amore. Nacqui in una bellissima giornata di primavera in mezzo alla foresta in un prato di erba e fiori …

Anche la sua lingua non favoriva il camaleonte quanto a simpatia. Quel bozzo in bocca certamente favoriva la “pesca” del cibo, ma non gli facilitava l’uscita delle parole, che suonavano malconce ed affaticate. D’altronde non poteva pretendere di più dal Creatore. Così continuò in qualche modo:

– Perché, chi erano i tuoi genitori?

  1. Mio padre e mia madre furono due farfalle dalle ali leggiadrissime. Passeggiavano nel prato, cantavano, danzavano da un fiore all’altro. Un giorno, dopo aver fatto così da mattina a sera, erano più felici del solito e si amarono di più. Nacqui io… O meglio, depositarono le uova, tra cui il mio, sui frutti di un melo. Quell’uovo divenne un verme che si sviluppò tanto in una grossa mela verde, finché, quando finì di mangiarne la polpa, si trovò maturo con la testa fuori della buccia e… Io lasciai il guscio del bruco e volai via verso il cielo. Ma tu invece? Raccontami della tua vita.

  2. Anche i miei genitori si volevano tanto bene. Anche loro avevano casa su questo banano. Vivevano felici. Partorirono il mio uovo insieme ad altri. Ma non lo covarono delle loro attenzioni. Quando il sole mi portò a maturazione, nacqui solo; crebbi solo. Mi feci amici insetti piccoli come me. Però se avevo fame, dicevo loro una bugia, mi avvicinavo e mangiavo chi avevo accanto. Chi capitava.

  3. Perché tradivi così l’amicizia dei tuoi compagni di albero?

  4. Perché nessuno mi aveva insegnato a vivere, a capire la fratellanza dei miei coetanei. Sta di fatto che ad ogni bugia, ogni volta che mangiavo, divorando un amico, mi cresceva in modo smisurato qualche pezzo del mio corpo. Cominciò la coda. Mi divenne tanto sproporzionata rispetto al corpo che dovetti arrotolarla per nascondere la verità. Poi prese ad allungarmisi la lingua. Mi divenne tanto lunga che dovetti arrotolarla per nasconderla a fatica in bocca…

  5. Ma anche i tuoi occhi strambi, strani e i colori mutevoli del tuo corpo hanno origine da quel difetto bugiardo?

  6. Certo. Col tempo per ingannare i miei amici dovetti imparare ad essere anche perfettamente immobile. Cominciai a guardare sforzando la mobilità dei miei occhi, che giravano ciascuno per proprio conto e mi crebbero tanto da uscire dalle orbite, tanto da farmi brutto, forse orribile, sì che nessuno più mi volle vicino. La fame allora mi insegnò ad adattare il colore della mia pelle a quello della cosa su cui mi appoggiavo. Riuscivo in tal modo a non essere notato dagli altri insetti, i miei vecchi amici e stando fermo potevo ancora mangiare… Scusa, ma veramente non so se ho cambiato i colori della pelle e gli occhi per mangiare o perché è la pena che devo scontare per le mie bugie …

  7. Dunque anch’io non mi devo fidare di te – continuò la farfalla -. Devo andare più lontana per sfuggire ai colpi della tua lingua. Ma quanto lontano? –

Mentre la farfalla diceva così, fece uno svolazzo per allontanarsi, ma il camaleonte con un colpo di lingua come una saetta l’avvolse e la tirò verso la bocca. Se non ché quella polvere fatta di bellissimi colori che la farfalla aveva stesa sulle ali e sul corpo la rese scivolosa alla presa. Riuscì a liberarsi subito prima che quella fiondata elastica la risucchiasse per chiuderla dentro la bocca del camaleonte. E volò via. “Mai fidarsi di nessuno”, pensò, “nemmeno di chi si dice pentito dei suoi errori”, né volle dichiaragli il pensiero cattivo che sentiva dentro. Si vendicò, comunque, lasciandogli un disgustoso sapore sulla lingua e nella bocca. E da quel giorno, ogni volta che un camaleonte vede volare una farfalla, si nasconde per non cadere di nuovo nella tentazione di colpirla, tanto è amaro e cattivo il gusto che gli avvelena la saliva.

13 – Il camaleonte e le sue bugie

12 – I capricci del mondo

Nata bene:

Da questo capitolo inizia un nuovo libro e nuove fantasie: “Quasi Favole: racconti per tutte le età”

Sotto il cielo furono creati tanti mondi. Tutti giravano, giravano e giravano intorno al sole. Tutti erano bravi e buoni. Ognuno dava da mangiare e da bere a tutto quello che portava con sé: piante, animali, essere viventi d’ogni tipo. Così accadeva anche sulla terra, dove ogni pianta cresceva, fioriva, faceva i suoi bellissimi frutti, che maturavano; poi le cadevano le foglie e la sua vita ricominciava daccapo. Ogni animale, uomo o scimmia o altro, nasceva, cresceva, si sposava e faceva altri figli simili a lui. La Terra, però, un giorno si ribellò a questa monotonia, a questa vita sempre uguale. Cominciò a gridare, ad imprecare, a non guardare più il cielo allo stesso modo, dal medesimo punto di vista. Invece di danzare facendo sempre le stesse movenze, cominciò a muoversi in modo sconclusionato e disordinato: ad ogni mossa dove aveva il capo metteva i piedi, dove aveva i piedi metteva la testa, dove aveva il corpo metteva le braccia, senza seguire i mutamenti con armonia. – Perché hai preso a girare così? – le domandò il cielo. – Non so dirtelo, ma mi ero annoiata a guardarti sempre dalla stessa parte e a guardare i miei fratelli senza conoscere di più della loro solita faccia. – Questo è un capriccio bello e buono. Non lo dovevi fare, ma dovevi attenerti ai miei ordini e poi chiedermi il permesso per cambiare. Forse c’era una soluzione. – Veramente non ero sola ad annoiarmi. Vedevo che le mie piante crescevano tutte uguali. I miei animali crescevano e dormivano come vagabondi. Ho sentito che dovevo fare qualcosa per loro… – Hai sentito molto male, – concluse il cielo -. Come vedi, così nulla è più tale e quale a prima. Le piante alcune sono più alte altre più basse, alcune germogliano vigorose, altre si seccano senza dare frutti. Le bestie quali si riproducono e quali no, quali crescono e quali muoiono giovani. Nulla è più regolare. Perciò tu, Terra, sarai punita dalle più diverse malattie che ti colpiranno in ogni parte del corpo; piangerai su te stessa e non avrai pace, né serenità e uguale sorte subiranno tutte le tue creature. Tu ed i tuoi abitanti da ora in poi vivrete faticando, sudando e soffrendo finché io non mi stancherò di guardarvi… -. Dopo questo lungo rimbrotto e dopo queste minacce di catastrofi vicine, il cielo divenne cupo, anzi nero, sfogando così la sua ira mai manifestata prima. La Terra iniziò a tremare dal terrore. Passarono i giorni. Da ogni parte della vita le crescevano protuberanze, le si dilavavano pianure, le si sbiancavano prati e campi fioriti. Tutto questo le mise un gran fastidio addosso, un gran prurito la faceva divincolare, sicché, come per istinto, si doveva grattare e doveva accostarsi alle nuvole per avere una sensazione di sollievo. La Terra cominciò a piangere dal dolore. Lacrime a fiumi iniziarono a scorrerle sulla faccia, che quando si fermarono, si depositarono nelle vallate e crearono mari immensi e laghi. Ma non solo. Dopo questo agitarsi, grattarsi e sbattere alcune protuberanze divennero più rosse, si infuocarono, cominciarono a sputare fuoco e da quei crateri artificiali eruttarono tutto il marcio e l’infezione che avevano dentro…. Alla Terra erano nati addosso monti e valli, vulcani e laghi, deserti e mari ed isole di crosta terrestre sparse qua e là. I suoi abitanti si trovarono spaesati. Alcuni affogarono dentro i mari, altri se li portarono via i fiumi. Tempeste di pioggia e lava ne spazzarono via molti altri ancora senza scampo. La salute e la vita della Terra e dei suoi abitanti era divenuta così precaria che questa sentì il dovere di fare qualcosa. Si rivolse al cielo supplicando: – Cielo, perdonami; posso fare qualcosa per scontare i miei errori e addolcire la tua ira? – Sì, devi stare più tranquilla. Devi ritornare ferma ed ordinata. Devi dare sicurezza ai tuoi abitanti, devi accarezzare la natura che nasce da te. Devi apparire di giorno e sparire al mio sguardo di notte con calma e dolcezza senza far pesare i tuoi movimenti a nessuno, ma rendere felici chi è nato da te e viaggia con te… – Cielo, mi dispiace. Questo regime di vita non lo provo neanche. Non ci riuscirò mai. Non voglio più contare i miei giorni monotoni per l’eternità… – Ed allora per l’eternità farai quello che ti ho ordinato!… – Sentenziò perentorio il Cielo. Da quel giorno la Terra ricominciò a girare con regolarità sparendo di notte e riapparendo di giorno secondo l’ordine avuto dal Cielo, ma non rinnegando né rinunciando alla vita sregolata iniziata per conto proprio, mangiando prodotti indigesti, ballando su se stessa in modo sconclusionato. Perciò non le fu tolta la condanna, né cessò di scontare le pene per la vita disordinata: pianti, eruzioni, dolori al profondo ventre, brufoli infetti e brufoli eruttanti, fumi puzzolenti, nuvole di polvere, secchezza dell’aria, deserti, valli e fiumi di lacrime presero a tormentarla da ogni parte del corpo. Non avendo ottenuto sottomissione completa, il Cielo concluse drastico: “La Terra è inguaribile, cerca il male suo e dei suoi ad ogni costo. Manderò un diluvio su di lei ed i suoi abitanti…” E così fece. Le nubi si sciolsero, tuoni, lampi, fulmini si accesero da ogni parte, illuminarono l’atmosfera e rintronarono il mondo. L’acqua sommerse la crosta terreste, le cose, le case e tutti gli esseri viventi. Non si salvò nessuno. Quando il castigo cessò, le acque rimasero calme. Per lungo tempo il globo terrestre dovette rimanere immobile per non correre il rischio di rovesciare tutta quell’acqua contro il Cielo e provocare la crescita della sua ira. Sembrò un mare, un mare placido. Essendo ormai tutto stabilizzato, ad un segno del Cielo da quelle acque affiorò una grande, immensa balena che, spalancando una larghissima bocca dette libertà a fiori e piante, animali ed esseri viventi d’ogni specie. Le acque tornarono nuvole e la vita di tutti sulla Terra ricominciò daccapo placida e serena, regolare sotto i raggi di un sole luminoso… Il Cielo con questo segnale aveva voluto restituire pace e tranquillità nel suo regno, facendo capire che l’ubbidienza è più vantaggiosa del capriccio.

12 – I capricci del mondo