18 – La mosca, il ragno e la lucertola

Sul cancello di una villa il padrone aveva scolpito un ragno ed una mosca ben definiti come un’opera d’arte; il ragno con la sua ragnatela, la mosca ad ali stese, pronta a volare…

Ora vi racconto il perché.

Un ragno viveva abitualmente su quel cancello. Ma altrettanto abitualmente aveva necessità di mangiare e per sfamarsi doveva stendere la sua tela tra una stecca di ferro ed un’altra, dove si sarebbero intricate le prede. E queste erano costituite dagli insetti che ignari passavano da quelle parti, in quel cancello. Per questo motivo un giorno iniziò il lavoro di stesura. Con la bocca prese dal suo ventre un punto di colla, l’appiccicò ad una stecca nel mezzo del cancello e con salti precisi da un punto ad un altro cominciò a girare al tondo, in su e in giù, in qua e là, tracciando con il filo elastico e trasparente che gli usciva dalla pancia un raggio sempre più largo di un disegno simmetrico e preciso. Quando il lavoro fu sufficientemente spazioso, chiuse il progetto staccandosi il filo di dosso e si fermò ad ammirarlo. Aveva fabbricato una bella ragnatela. Perfetta.

Pure una mosca frequentava quel cancello. Era velocissima nelle sue escursioni. Volava qua e là, su e giù. Passava avanti e indietro attraverso le sbarre di ferro, vi si posava, vi prendeva il sole. Si sentiva padrona di un pezzo di quel quadrato e dello spazio d’intorno. Il cancello era una cosa forte e sicura, fatta con bell’armonia dal signor padrone.

In realtà padrone per metà ne era divenuto il ragno che, stendendovi la sua ragnatela, in quella parte cacciava indisturbato altri insetti.

La caccia avveniva così. Quegli insetti, che la toccavano o appena la sfioravano, vi si impigliavano. Allora arrivava il ragno che prima li faceva prigionieri, poi li conservava avvolgendoli in un bozzolo di tela e condannandoli a morire, infine, con comodo, li mangiava, senza chiedere il benestare a nessuno, tanto meno alla mosca o al signor padrone.

La mosca a veder quel tranello e l’organizzazione di quella caccia un giorno affrontò il regno per dirgliene quattro:

– Amico mio, forse tutta questa attrezzatura l’hai organizzata per me? Se pensi di fregarmi, ti sbagli di grosso. Ho visto il tuo imbroglio e cercherò di non aiutarti…

– Veramente non è per te; tu sei la mia vicina di casa. Penso che siamo amici, anche se la fame a volte acceca la vista da non distinguere nemmeno le parentele. Quindi fai come vuoi, ma stai attenta…

– Va bene! Ti ringrazio, ma non proprio di cuore. Anzi, se posso, lo farò sapere al signor padrone ed ai miei amici, perché mettere una trappola in un posto così bello è un tradimento dell’ingegno e dell’amicizia.

– Come vuoi – rispose minaccioso il regno –. Così da oggi non rispetterò più nemmeno te -.

La mosca allora raccolse in sé tutta l’ira che aveva dentro e cominciò a volare da qua e là attraversando la tela a forte velocità, sì che quella non riuscisse a trattenerla, ma si strappasse lasciando ad ogni passaggio un buco aperto. Il ragno ad ogni colpo sulla tela correva per vedere se c’era una preda o un buco. Poiché mai era preda, si affaticava soltanto per tappare le falle.

Una lucertola, che stava prendendo il sole ai piedi dello stesso cancello e aveva sentito la discussione tra i due, si accorse pure del ronzio frenetico della mosca e dell’agitazione del ragno che impazzava da una parte all’altra della tela, dove la vedeva tremare senza che vi fosse manco una preda, ma strappi da rattoppare.

Dopo qualche tempo di questo gioco a dispetto, la mosca era sfinita, priva di forze e si impigliò nella tela. Pure il ragno, però, era sfinito dalle corse. Tutti e due stavano morendo di crepacuore. La lucertola previde come si stavano mettendo le cose e concluse: “Oggi va bene per me”.

Quando furono fermi ambedue, mosca e ragno, la lucertola salì e se li mangiò. Ma la ragnatela di cui erano intricati la mosca e il ragno era composta di materia urticante e indigesta. Un gran mal di pancia colpì la lucertola che cominciò a rotolarsi, a sbattere la coda per terra e dovunque.

Il signor padrone del cancello amava gli animali, gli insetti e la natura tanto che mai avrebbe fatto torto ad alcuno. Allorché, passando di lì, si accorse di quell’agitarsi, di quei movimenti insoliti, si avvicinò in soccorso della lucertola. La prese sulla sua mano, la guardò, ma non capì molto, se non che aveva la pancia piena.

– Perché ti agiti tanto, che hai? – le chiese.

– Sto morendo per colpa di due stolti, – rispose la lucertola.

– Che vuoi dire, spiegati meglio e in fretta, se mai posso far qualcosa per te.

– Devi sapere che sul tuo cancello avevano preso posto un ragno ed una mosca. Anzi si muovevano come se fossero loro i padroni e si litigavano per questo. Io… – e spiegò i fatti cui aveva assistito e come essa aveva approfittato di quella stupida arroganza, rimanendo colpita da crampi allo stomaco per colpa di quella tela forse composta da sostanze paralizzanti.

Il padrone ebbe pena per la storia del ragno e della mosca, ma volle anche premiare la sincerità della lucertola, aiutandola a vomitare gli insetti ingoiati. Poi immortalò la storia dei due sciagurati, dando loro posto nel suo cancello per cui nella vita tanto si erano litigati.

18 – La mosca, il ragno e la lucertola

17 – Il canto dell’usignolo

Per abituale dimora insieme alla sua famiglia un usignolo aveva scelto un bellissimo albero di faggio che cresceva in mezzo ad un rigoglioso e verde bosco. Viaggiava, con voli rapidi e furtivi lì intorno e qui ritornava. Ma soprattutto nei momenti di riposo e di tempo libero instaurava i suoi concerti vocali che incantavano tutta la natura del vicinato. Colleghi, uomini, animali, insetti e bosco si fermavano rapiti dal suo canto, dal suo gorgheggio. Sì, perché la sua voce così bene modulata, alta e limpida era un piacere ed una compagnia per tutti i vicini ed i lontani. Infatti essa si udiva fin dai punti più remoti della valle ed era unica. Né l’usignolo si risparmiava.

Tutti erano contenti di questa armoniosa compagnia, perché nessuno sapeva il vero scopo di questa esibizione e di tanto impegno a sì ben figurare. Lo scopo incoffessato e traditore dell’usignolo, infatti, non era nobile né nobilitato dal bel canto, ma più semplicemente dalla fame, dalla necessità di soddisfare alle sue esigenze fisiche. Accadeva infatti che la curiosità del bel canto, piano piano, subdolamente incitava tutti ad avvicinarsi alla fonte di provenienza, soprattutto gli insetti. Ed era su questi che l’usignolo puntava le sue bramosie per saziare il vuoto dello stomaco causato dai lunghi gorgheggi. Così quando gli insetti arrivati intorno al canterino avevano raggiunto un bel numero, questo si fermava d’improvviso e iniziava il pasto, senza che gli estasiati nemmeno si rendessero conto dell’inganno.

Un giorno, però, forse perché qualcuno aveva parlato o perché aveva capito il tranello, un grillo giocò d’astuzia. Al termine dell’esibizione dell’usignolo, nascosto al riparo sotto una grande foglia di zucca, gridò, anzi stridulò con la sua voce gracchiante: – Bene, bravo, bis! Ci hai incantato, ci hai convinto, siamo tutti con te. Viva l’usignolo, la voce della foresta! Il nostro più bello e insigne rappresentante: nessuno più di lui è degno di far concerti. Bisse, bis! -. Dalla foresta si udì un fruscio come un grande e prolungato applauso di approvazione.

L’usignolo a questo pubblico elogio fece buon viso e, toccato in pieno nel suo orgoglio, riprese i gorgheggi dal punto in cui li aveva interrotti. Così facendo, però, l’ora del pasto per lui si allontanava… La fame è una brutta cosa. Dalla sua gola il canto cominciò ad uscire meno bello, poi meno definito, poi sempre più stonato. Il povero usignolo affamato non solo non poteva più cantare, ma non ci vedeva più. Stremato, confessò: – Dalla fatica sto morendo di fame. Però non mi sarei trovato in questa situazione se tutto il vicinato con la richiesta del bis non avesse interrotto la mia abitudine, non avesse stimolato la mia vanità.

– Perché, qual era il tuo piano? – L’interruppe il grillo sempre al riparo sotto la zucca, facendo finta di non saper nulla.

– Dopo la mia brava esibizione, mi sarei mangiato qualche insetto più curioso per ascoltarmi e tutto sarebbe andato liscio fino a domani. Ma ora?… Io morirò e voi sarete meno lieti -.

Gli insetti, la foresta, la natura, tutti coloro che erano soliti sentirsi rallegrati la giornata dall’usignolo insieme esclamarono: – Oh, noooo!…-

– Zitti tutti! – Disse il grillo – Penso di avere la soluzione. Se preghiamo il nostro Spirito protettore ed Egli ci fa la grazia, io penso che l’usignolo possa vivere dei semi delle erbe, che noi gli possiamo fornite in gran quantità, purché continui a tenerci allegri e spensierati col suo canto.

– Sìììì, evviva il grillo, evviva l’usignolo. Grande Spirito, salvaci tutti, tutti insieme! -.

E nella foresta echeggiò sommesso un brusio lungo e raccolto, come una preghiera. L’usignolo sentì mutare in sé il desiderio della fame: non aspirava più a beccare sugli insetti che vedeva, ma andava in cerca di piccoli semi di erbe, che, come le formiche, tutte quelle bestioline del bosco gli porgevano a portata di… becco. E ne trovava tanti, e sempre di più, perché da quel giorno ogni insetto che partecipava o solamente udiva il suo concerto si sentiva in dovere di portare all’usignolo l’obolo del semino che trovava per la via: panìco, grano, veccia, gioglio, biade… Un compenso a tanta fatica.

E da quel dì l’usignolo non si preoccupò affatto del suo mangiare, ma della sua voce, perché, dopo l’esibizione canora, quando aveva fame, poteva scegliere il pasto del giorno, trovando sempre vicino alla sua casa tanta abbondanza fornita dagli insetti suoi amici.

17 – Il canto dell’usignolo

16 – Il fuco e l’ape regina

 

In ogni arnia regna una regina.

La regina dispone di una famiglia numerosissima di api che lavorano in continuazione, ciascuna addetta ad un compito preciso come raccogliere il polline e produrre miele, come imboccare lei di pappa reale, come produrre vento per rinfrescare l’alveare, come montar la guardia per difendere la casa da ladri e predatori. La regina non ha altri impegni se non deporre in continuazione uova nelle celle dei favi che le api curano più dolcemente ed attentamente possibile, come se le covassero.

A seconda che a quelle celle diano forma più grossa o più piccola, più tonda o più alta da esse nasce un’altra operaia, o un’altra regina o un fuco.

Ecco, il fuco sarebbe il maschio della casa, il marito della regina, ma di quella regina che le operaie fanno nascere ad ogni primavera per rinnovare la famiglia e per crearne una nuova. Perciò, quando si verificano tutte queste cose insieme – in vista di quelle nascite a primavera -, la regina nuova raduna i fuchi della casa, tutti fidanzati, aspiranti mariti e li invita ad un viaggio di nozze in volo, durante il quale ad uno ad uno tutti cadranno morti, meno uno soltanto, l’ultimo, il più forte, che finalmente la sposerà. Dunque la giovane regina si sposerà con l’ultimo, poi subito dopo rimarrà vedova e senza pianti né rimpianti tornerà indietro. Da parte sua il problema da risolvere sta nel fatto di saper misurare le forze di questo marito a confronto con le sue. L’ultimo ce la farà a salvarsi, a resistere? Riuscirà a vederlo prima che cada? L’amerà davvero?

Ma quella volta accadde proprio così, non tutto il volo filò liscio. In una bellissima giornata di primavera la giovane regina radunò i suoi promessi sposi, gli aspiranti alla sua ala, li passò in rassegna chiamandoli ciascuno per nome: c’erano Fiorello, Morello ed Osello, c’erano Giulivo, Reuccio e Bionico, c’erano Solare, Veloce, Dolce e pure tanti altri, bei rappresentanti della casa, che disciplinatamente si misero in fila in attesa dell’ordine di partenza. La regina spiccò il volo e dopo pochi metri gli aspiranti mariti-principi cominciarono a cascare sfiniti, morti stecchiti. La regina, però, consapevole di aver dietro la meglio rappresentanza della specie, si voltò indietro per vedere in quanti la stavano seguendo: vide che i pretendenti erano ridotti a pochi. Così continuò a volare voltandosi più spesso e ad uno ad uno vide cadere anche i promessi a lei più simpatici: Fiorello, Veloce, Morello e gli altri. Quando si accorse che la seguiva solo Reuccio, rallentò la corsa quasi a collaborare per essere raggiunta. Purtroppo la sua decisione fu tardiva, perché nel frattempo Reuccio cadde esanime.

  1. Oddio, ed ora come faccio? – pensò tra sé. Subito si disperò in cuor suo, ma poi ricordò che una regina mai si lascia prendere dalla disperazione, dallo sconforto. Volò vicino al promesso sposo, lo guardò bene, lo toccò e si accorse che non era morto, ma soltanto svenuto e privo di forze. Allora con forti richiami e ronzii di ali chiamò in soccorso tutte le sue operaie rimaste a casa. Esse giunsero prontamente, la regina spiegò l’accaduto e ordinò:

– Tornate a casa, prendete tutta la pappa che abbiamo in riserva ed imboccatelo, cambiategli l’aria d’intorno, fategli vento finché non torna a respirare e riprendere forza. –

Le operaie obbedirono senza riserve, ognuna eseguì il suo compito con impegno e in breve il fuco Reuccio si ristabilì. Si accorse di essere stato coccolato con amore da tutte le compagne e di essere l’unico fortunato pretendente all’ala della regina.

Lasciateci soli – disse allora questa – Brave e grazie del vostro aiuto; tornate a casa, dove presto vi raggiungeremo anche noi -.

I due rimasero lì all’ombra di un gran fiore dolcemente profumato. Si raccontarono tante cose. Furono felici insieme per qualche tempo. Fu un atto d’amore infinito, parve loro. Reuccio si disse e si sentì fortunato. Che altro di più poteva aspettarsi dalla vita, che sapeva breve? Alla regina confidò i suoi sentimenti, ma anche le sue paure. Prima dell’imbrunire decisero di rientrare a casa.

– No, – disse Reuccio – non mutiamo la storia ed i costumi. Un fuco re non è mai esistito in un alveare. Io resto al mio destino, tu vai e adempi al dovere di una regina delle api -.

Si lasciarono dal lungo abbraccio e la regina riprese a volare con grande allegria, ma Reuccio rimase lì, non riuscì più nemmeno a sollevarsi in volo.

Stavolta il suo cuore non aveva retto allo sforzo ed alla contentezza messi insieme. La discendenza della nuova famiglia era comunque assicurata, ma pure la disposizione che vuole le giovani regine delle api vedove fin dal loro viaggio di nozze.

16 – Il fuco e l’ape regina