15 – Il fiume e il mare

Un’altissima montagna aveva una pancia molto sporgente. Un giorno da un piccolo foro a metà di questa pancia cominciò a uscire uno scroscio d’acqua abbondante e rumoroso. Lo scroscio prese a scendere verso i piedi del monte e man mano che scendeva, si faceva più grande e impetuoso. Sbatteva a destra, rimbalzava a sinistra. Scavava, trascinava con sé, rotolava sassi, tronchi d’albero e qualunque altra cosa non resistesse al suo passaggio… In fondo alla discesa era divenuto un fiume in piena.

Solo un masso, urtandoci contro, gli resisteva. Il fiume gli sbatteva addosso e si frantumava in miriadi di goccioline, in fiotti, in onde e riccioli d’acqua schiumata. Tutta quell’acqua fresca, agitata, sbattuta e frantumata, in parte proseguiva la corsa verso la valle, in parte vaporizzata si sollevava sopra un alone di nebbia che bagnava e dissetava la natura d’intorno: fronde, foglie, steli d’erba, animali… Tra il fragore della piena e il masso si ripeteva un dialogo infinito:

– Flap, splash, flap, flaflàp… Di dove vieni e dove vai con tanto impeto e tanta fretta, o acqua gelata? – Domandava il masso.

-Flap flap. La montagna lassù mi fece nascere, mi dette la vita e mi avviò al mare, ma non mi indicò una strada precisa, così scendo con molta confusione in testa. Sbatto qua e là, corro e rallento, cercando il passaggio più facile. Che ti ho fatto male? Perché non vieni con me?

– No, io resto qui. Io sono pesantissimo e sono piantato qui, comandato a reggere la pancia molle della madre tua, la montagna-

– Blu, blabloblublu… Devo andare, ho fretta. Mi spingono. Ti devo lasciare, ciao!

E il fiume riprese la sua corsa verso la valle.

– Blublabloblublublu…- Correva, rotolava e man mano si ingrossava. A volte guardava indietro in uno sguardo rapido, ma la fretta lo portava a correre di nuovo.

-Oh, belli!… e voi chi siete? – Fece, ammirato il fiume, incontrando a metà della costa dei pesciolini scuri.

-Siamo trote, trote figlie della mamma che viene dietro a noi.

-Ah, adesso vedo anche la mamma. Bella, tutta picchiettata nella pancia bianca!

– Veramente noi siamo più veloci, anzi corriamo verso le buche sotto i sassi e i nascondigli, da una all’altra e la mamma si stanca un po’ a venirci dietro. Ma non ci lascia sole…

-Brave, nascondetevi, altrimenti vi porto via con me. Ciao. Blublublù, blublù, bla…

Il fiume continuò la corsa. Incontrò tanti altri pesci, più grossi e più piccoli, più belli o meno vistosi, tante altre vite. Ognuno seguiva una direzione, una meta diversa e personale.

Ma perché tanta fretta? La valle era lì. Ormai era arrivato. Conveniva essere calmi e placidi.

– Blublablaaaa… – e cominciò a proseguire su di un letto grandissimo, pianeggiante, livellato. Silenzioso. Ad un tratto sulla schiena si ritrovò un recipiente, come una vasca, grande e liscio che scivolava in senso contrario alla sua corsa. Quella vasca conteneva al suo interno altri quattro esseri viventi; di questi chi faceva una cosa chi un’altra: ognuno si muoveva per conto proprio, con incarichi indipendenti dal vicino. Il fiume non vedeva o non capiva di che si trattasse, però era contento della sua forza. Anzi si meravigliava di come egli seguisse una direzione e gli altri un’altra, agendo indifferenti ed indipendenti dalla sua volontà. Ma non si fermò. Né ebbe modo di togliersi la curiosità. Seguitò ammirando una distesa a perdita d’occhio. Si ricordò delle istruzioni avute dalla Montagna, sua madre: – Ecco, questo è il mio letto. Qui mi posso riposare. Qui posso stare tranquillo, senza fretta, senza dolore -. E si mise ad accarezzare ciottoli, a giocare con i giunchi delle sponde, che ora si piegavano, ora si rialzavano schizzando gocce d’acqua da ogni lato. Incontrò animali più grandi e più piccoli, tanto diversi tra loro a dissetarsi al suo passaggio, in piedi sulla sua sponda. Il fiume si fermò a parlare con uno nero, che insieme ad un gruppo di amici, grande e diverso, con lunghissime corna in testa si bagnava le zampe:

-Amico, ti vedo per la prima volta a bere alla mia riva. Sono felice di esserti utile. Chi sei?

-Sono il bue di Maremma. Vengo da te, perché mi porti la freschezza della Montagna tua madre. Di giorno vago con questi amici nei forteti, tra i cespugli qui intorno. Sto bene, però mi sento meglio quando metto i piedi al limite delle tue sponde. Sei bello e ricco d’acqua fresca. È un piacere…

-Sono contento per te. Mia madre ti invita a fine primavera a salire su da lei. È molto lontana, ma ti assicura pascolo e una casa ricca e accogliente di vegetazione per te ed i tuoi amici. –

Il fiume stava riprendendo la sua strada, quando ebbe un attimo di esitazione e aggiunse: – Grande bue, amico mio, tu sei buono e pacifico. Lo so. Ma con me viaggiano tanti altri animali che hanno sempre fame e per saziarsi diventano feroci. Ho incontrato poco fa un coccodrillo. Stai attento… –

Il fiume non fece in tempo a finire l’avvertimento che un’enorme lucertola a bocca aperta guizzò fuori dall’acqua. Il bue, però, alle parole del fiume aveva già raccolto le forze e l’attenzione e, di fronte all’attacco del bestione, puntò saldi i piedi nella riva bagnata, abbassò la testa e con un’incornata forte e decisa rimandò lontano in acqua il coccodrillo.

– …E ti è andata bene. Le mie corna ti potevano infilare come una spada! – Disse a voce alta il bue rivolto al coccodrillo – Pensaci un’altra volta prima di colpire a tradimento. Grazie e arrivederci, fiume, amico mio -. Poi si allontanò verso il bosco a confine della riva.

Il fiume riprese il cammino placido e lento verso la foce. Non era lontana, ma prima di tuffarsi in mare il suo andamento spensierato gli permetteva ammirare ancora il panorama d’intorno. Fece festa a tutti. A chi mandò un saluto, a chi uno schizzo d’acqua, a chi un airone volteggiante e maestoso in volo. Il mare stava lì ad un passo a braccia aperte, anzi immensamente larghe.

Prima che le acque del fiume si mischiassero con quelle del mare, il fiume molto educatamente si presentò:

– Ciao, padre infinito. Sono un fiume che vengo dalla Montagna alle mie spalle. Tu non la vedi, ma è una madre gigante e generosa. Mi ha fatto ricco di virtù. Mi vuole tanto bene, ma sono venuto via per intraprendere la mia vita autonoma, piena di imprevisti belli e non belli.

– Ciao. Benvenuto! Come stai tu? Ti chiedo questo perché arrivano da me tanti tuoi fratelli, fiumi tutti carichi di ogni genere di immondizie. Lavano tutti e tutto, ma nessuno si lava prima entrare in casa mia.

– Certamente avrai ragione, perché anche l’acqua che viaggia con me non è pulita come dovrebbe. Ho incontrato torrenti che mi porgevano la mano e li ho accolti senza obiettare, ma ho incontrato pure scarichi di case, di fabbriche, di stalle con le acque sporche. A volte ho brontolato. Forse con poca convinzione, perché non tutti mi hanno obbedito. Per questo ho visto morire compagni di viaggio, uccelli, pesci, animali. Molti uomini amici mi stanno allontanando. Tu sei il mare, tu sei un padre per ogni vivente. Ti prego, non mi rifiutare la tua accoglienza.

– Vedi, purtroppo hai con te tronchi d’albero, terra, sassi, veleni… Làvati prima di entrare da me, in casa mia, prima di avvelenare gli amici che viaggiano con te, altrimenti sarò costretto ad arenare la tua foce. E ricorda che dopo questa volta non te lo ripeterò –, concluse il mare minaccioso.

Il fiume si radunò in un gran mulinello. Frenò l’andatura. Alzò il gorgoglio, avvisò, minacciò tutti coloro che aveva incontrato nel lungo viaggio, buoni e cattivi, e ripeté l’ordine avuto. Tutti riconobbero giuste le ragioni del mare e furono d’accordo a lavare, a ripulire i loro incontri, i loro scambi di acqua e di cose con il fiume.

La decisione rese più sereni e contenti mare, monti, fiumi, uomini, animali e cose …

15 – Il fiume e il mare

14 – L’ape e la lucertola

Un giorno, ai primi raggi di sole primaverile una lucertola si stava scaldando sotto il fiore di una margherita. La margherita insieme a tantissime altre aveva composto un prato, anzi un tappeto bianco e giallo che era uno spettacolo a guardarsi. Anche un’ape in cerca di polline e miele per la sua casa vide quel prato e come per incanto fu attratta proprio dalla corolla della margherita sotto cui soleggiava la lucertola. L’ape non si avvide della lucertola, né di pericoli, tanto era presa dal suo impegno. Così, felice di tale abbondanza, iniziò il suo lavoro di raccolta. Passando velocemente da petali a pistilli e tornando indietro, con le sue zampe e le sue mandibole stava pulendo il fiore quando all’improvviso, gnam, si trovò in bocca alla lucertola, senza accorgersi d’alcun che. La lucertola, invece, si era accorta del lavoro paziente e preciso dell’ape ed aveva pensato che sarebbe stato facile colpire senza dare nell’occhio: un boccone così grosso senza troppa fatica non le era mai capitato! Dunque prese la mira e colpì. A tradimento.

L’ape, però, a quella stretta improvvisa reagì immediatamente a modo suo: tirò fuori il pungiglione ed ancora zac, bucò quel che trovò, lingua e mandibola. Un dolore acuto arrivò alla testa della lucertola, sicché altrettanto immediatamente questa riaprì la bocca e lasciò la presa. Per la verità non fu facile. Il pungiglione s’era infilato tutto ed in profondità e non tornava indietro. La lucertola graffiò con i piedi la sua bocca, si rotolò per terra e fece un’infinità di giri veloci, sbatté e sgrullò veloce la testa da un lato all’altro, senza che l’ape ritraesse il pungiglione. La liberazione fu sofferta per tutti e due, ma riuscì: l’ape ritrasse il suo pungiglione, la lucertola ebbe la bocca vuota. Poi, però, la sua lingua e la mandibola cominciarono a gonfiarsi. La lucertola si sentiva un bozzo dentro che a mala pena riusciva a muovere la bocca e, ancor peggio, a parlare.

Brutta bestiaccia, chi sei, che mi hai fatto?! Mi hai avvelenato. Forse mi farai morire. Tu sia maledetta!… – e continuò a rotolarsi su se stessa, a spasimare, a divincolarsi.

Non aver paura, per questa volta non morirai. Soffrirai un po’, ma è il minimo che ti poteva capitare andando in giro a mangiare a tradimento chi lavora per portare a casa il cibo per una famiglia numerosissima, – rispose l’ape.Ma perché, quanti siete? E tutti velenosi così?

  1. Io sono l’ape operaia dell’arnia costruita a due chilometri da qui. Viaggio molto per raccogliere il polline

  2. da cui ricavare il miele, il mangiare per oggi e per l’inverno per noi e la nostra regina.

  3. Non ti conoscevo e quando ti ho visto così rotondetta e cicciottella ho immaginato fossi un ricco boccone, ma non avvelenato. E le tue sorelle sono velenose come te?

  4. Veramente ti poteva capitare di peggio. Infatti, quando una di noi è colpita o presa, per procurare tanto dolore e distrarre il nemico dal fare male ad altre sorelle, gli pianta il pungiglione addosso e glielo lascia dentro il buco insieme a parte del suo intestino; sacrifica se stessa, ma causando un terribile fastidio, salva la famiglia.

  5. Non posso più parlare. Mi sento la bocca chiusa da una palla. Sei sicura che non morirò?

  6. No, per questa volta non morirai tu e nemmeno io. Infatti ho ancora il pungiglione con me. Ora ricomincerò a raccogliere polline come se nulla fosse accaduto, sperando che la puntura valga a tenere lontano te e quelli della tua specie.

  7. Grazie della notizia, amica mia. Ma se non morirò avvelenata, non è che morirò di fame, visto che con questa palla in bocca non potrò mangiare?

  8. No, tu andrai a bere e rinfrescarti vicino ad una sorgente d’acqua. Stasera al tramonto del sole il male sparirà. Credimi.

  9. Grazie ancora; ti giuro che dirò a tutte le lucertole di non toccare te né tutte le api come te a lavoro sui fiori del prato.

Oggi le api viaggiano sicure in cerca di polline, lavorano tranquille nei prati e tornano a casa cariche. Non pungono nessuno, se nessuno si pone davanti a loro come ostacolo. La lucertola, infatti, aveva capito la lezione e riconoscente aveva trasmesso il messaggio a tutti.

14 – L’ape e la lucertola