19 – Arturo e Leda

Arturo e Leda vivevano in un recinto di rete verde, non lontano dal podere della padrona a Casa Dondolini. Avevano un gran prato d’erba a disposizione, oltre l’aia del podere, ed avevano tanti amici vicino: un’asina, galline e galli, tacchine, faraone maschi e femmine, due maiali ed un piccolo branco di pecore con i figli piccoli. Le loro giornate trascorrevano liete. Con il sole o con la pioggia usavano quello spazio passeggiando o correndo ad ali spiegate o semplicemente brucando. Erano una coppia veramente felice.

Quando qualche amico della famiglia si avvicinava alla rete, Arturo gli andava incontro…

– Arturo, come va? – lo chiamavano i conoscenti e gli amici.

Arturo, ovunque si trovasse, partiva con gran gracidio verso la rete, in direzione del richiamo e rispondeva a modo suo: spesso brontolava chiaramente irato per essere stato distratto da curiosità inutile. Si capiva dal tono. A volte ringraziava, se una mano gli allungava qualcosa da stringere nel becco. Poi tornava indietro dalla moglie e, seguitando a gracidare, si esibiva in contorte evoluzioni fino a richiamarne l’attenzione.

Vieni a vedere chi è venuto a trovarci”, “Vieni a salutare gli amici”. Oppure “Vieni con me a difendere la nostra casa. C’è gente che non so chi sia!” – pareva le volesse dire.

Certamente la voce di Arturo era unica, sgraziata e per l’interlocutore non sempre era facile capire di quale umore fosse espressione.

Arturo era goffo quando camminava, era elegante quando corteggiava. Leda era orgogliosa di lui e si faceva coprire di attenzioni. Mai davanti, rimaneva sempre un passo indietro, come si conviene ad una signora. Le effusioni di Arturo e Leda erano aggraziate, fatte di inchini, di danze come minuetti, incrociando e avvolgendo i loro colli lunghi e affusolati.

Una mattina la padrona andò a governare le oche, ma Arturo e Leda non si mossero, non gracidarono. Leda era per terra raccolta come un batuffolo bianco, all’ombra di un cespuglio di uva spina. Arturo, accovacciato vicino, con il suo collo allungato sopra, lentamente le accarezzava e le muoveva le piume, quasi con dolcezza.

– Strano! – pensò la padrona – Zitte così non sono mai state. – e si avvicinò.

Leda così raccolta e immobile era morta e Arturo non si staccava da lei. La manteneva calda, quasi a ridarle la vita. La padrona la sollevò tra le braccia e la portò via. Arturo la seguì fino al cancello, senza un gracido, senza un lamento. Poi rimase lì per tutto il giorno ed i giorni seguenti: non un gracido, non un lamento; non rispondeva ai richiami degli amici, non seguiva la padrona, quando entrava nel recinto. Non mangiava.

– Oddio, ora muore anche lui, si lascia morire così. Che amore per la compagna.– Pensò la padrona.

Passarono pochi giorni e alla padrona venne un’idea. Andò al podere vicino e comprò un’altra oca bianca, un’altra moglie per Arturo. Poi entrò nel prato verde e la liberò vicino a lui. Questi come per miracolo riprese vita, la sua vita libera nel prato. Ricoprì di attenzioni e delle sue elegantissime effusioni la nuova Leda. Gracidò di nuovo, forte come sempre, a tutti gli amici che si avvicinavano alla rete e chiamavano: “Arturo, come va? Arturooo!”

19 – Arturo e Leda