30 – Il gatto nero e l’automobile

PS.

C’era una volta una strada in periferia della grande città, dove il traffico non mancava mai, anche se era una via secondaria, che serviva soltanto gli abitanti di alcuni grandi condomini.

Era comunque troppo stretta, senza marciapiedi e piena di veicoli in sosta in ambo i lati della carreggiata, sistemati molto alla meglio. I pedoni erano costretti ad arrangiarsi assai per muoversi, per districarsi tra un ostacolo e l’altro, così da arrivare indenni all’uscio di casa.

La sera, dopo l’ora di cena il traffico delle auto diminuiva e pure quello dei pedoni che, per lo più a capo chino, si spostavano decisi, immersi nei loro pensieri di fine giornata. Fu in questo momento di una serena serata di estate che un gatto nero come la pece decise di ispezionare le ciotole, dove anziani benefattori gli facevano trovare la cena: una ciotola sotto un’auto poco usata, una all’angolo del palazzo, un’altra nell’avvallamento di un chiusino.

La bestiola s’accostava, ispezionava, annusava se mai fosse arrivato prima di lui qualche concorrente indesiderato; trangugiava, leccava quel che trovava e, sempre circospetto, si dirigeva al successivo punto di riferimento.

Durante tali visite gli era necessario attraversare la carreggiata più volte. Così anche quella sera si comportò da esperto randagio di quartiere: attraversò la carreggiata senza accorgersi, però, che proprio in quel momento stava sopraggiungendo, silenziosa e rapida, un’automobile piuttosto voluminosa.

L’auto inchiodò: si udì lo stridore dei freni seguito dallo spostamento repentino in avanti dei passeggeri. Dentro l’auto ci fu un attimo di spavento prima della domanda: cos’è successo?

Ma che… gatto fai, li mortacci tua!” urlò il conducente in direzione della bestiola, che sollecita, guadagnò il riparo sotto un veicolo in sosta. Poi con lo stesso tono rivolto al passeggero,che forse aveva dubitato della sua abilità di guida: “Che c’è?! Non hai visto? Era un gatto nero, che ha attraversato tranquillo la carreggiata davanti a noi”.

Embèh?! Mica l’hai preso. Va a saper dov’è arrivato a quest’ora!”.

Eh, lo so io dov’è. Sta sotto quell’auto e non si muove lo stro… E mica torna indietro! Ora io come faccio? Devo passare, ma non posso, dove è attraversato quel gattaccio nero”.

Perché? Mica ha lasciato chiodi per terra… No, non mi dire che sei superstizioso. Se hai paura di un gatto, figuriamoci di un cane grosso o di un altro animale di campagna…”.

Ebbene sì, io ho soltanto paura di un gatto, ma di un gatto nero come questo e finché non torna indietro da solo o passa un altro veicolo avanti a me, io non mi muovo da qui”.

Oh, stiamo freschi, anzi famo notte! Vuoi far notte qui? Guarda che, se arriva un’altra macchina, non ci passa e ti tocca andare avanti per forza”.

Ora ci penso io!” concluse deciso il conducente, mentre scendeva dalla guida. Poi si diresse dov’era il gatto seduto, seminascosto. “Ehi, tu, bestiaccia maledetta, vieni fuori e torna dov’eri”.

Il gatto era lì a due passi, ritto sui piedi davanti, impassibile ascoltò, ma non si mosse.

“’Sto demonio!” Fece ancora il conducente rivolto al gatto, “Demonio, alzati prima che sia io a spingerti o a darti un calcio in culo. Torna di là”.

Il gatto miagolò flebilmente, poi, all’insistere dell’interlocutore, rantolò qualcosa: “Io non mi muovo di qui. Ho paura di te e dei tuoi mezzi. Non mi fido…”

Via, per piacere, micio bello, alza il culo. Torna indietro. Fai conto che io non ci sia, la mia auto non si muove. Di là troverai altre buone polpette…”.

Miao!” rispose il felino più forte in gola, “ma che ti sei messo in testa! Hai paura del mio pelo e mi preghi, oppure mi dai un calcio? Fatti sotto, se hai coraggio. Io non mi muovo…”.

I passeggeri s’erano stizziti di questa diatriba tra un gatto, piccolo, ed un uomo grosso e coglione: “Lascialo perdere, altrimenti prendilo in braccio, fagli due carezze e portalo tu dove vuoi”.

Io lo porterei all’inferno ‘sto demonio! Mica lo alza il culo. Mi ringhia, mostra i denti, mi minaccia. E chi lo piglia così incavolato! Ha il pelo ritto. Ha capito che lo voglio tirar fuori dal sicuro e sta pronto ad assalire…”.

M’hai quasi schiacciato con la macchina e mi son preso una bella strizza. M’hai detto i morti, pensi che ti porti jella e poi c’hai pure raggione ora che discuti con me? Non ti conosco e non mi fido, ho detto. Alza il culo tu e vattene, sfigato”, miagolò ancora il gatto.

Intanto un passeggero manifestò segni di impazienza; al conducente stavano per saltare i nervi, mentre il nostro portaguai era sull’attenti, sì, ma al riparo tranquillo, a distanza di sicurezza.

Proprio in quel momento un motorino rombante, guidato da un ragazzotto arrivò e si fermò dietro l’autovettura in sosta in mezzo alla strada. Quando il giovane si rese conto che il conducente era fuori e impegnato in cose diverse dalla guida, suonò due volte il clacson, poi prese la mira nel poco spazio rimasto tra l’auto d’intralcio e quelle abbandonate a lato della carreggiata, dette una sgassata e partì a razzo a mo’ di gincana. “’Sti stronzi…!” farfugliò a voce alta, eseguendo la manovra poco regolare.

Però, dopo la mossa azzardata e veloce, allorché stava per riprendere l’andatura diritta e normale, con la sua pedana agganciò il parafango del veicolo d’intralcio. Il motorino cadde di traverso alla carreggiata ed il conducente ruzzolò. Ci fu un gran fracasso. I passeggeri in attesa sull’auto scesero e insieme al conducente, che lagnoso brontolava: “Lo dicevo io, lo dicevo io, che porta male!…”, andarono incontro al disastro per rendersi conto dello stato di salute del giovane.

Questi, mentre si sforzava di raddrizzare e rimettere sulle ruote il motorino, scomodò tutti i morti ed i santi del paradiso, poi dette uno sguardo al mezzo, valutò il danno, si sbatté i pantaloni e risalì in sella. Un’altra sgassata e ripartì incavolato nero, senza aspettare la consolazione di nessuno.

Il gatto, sentito tale trambusto, s’accorse che l’attenzione di tutti era rivolta altrove. Quatto quatto, guardingo, a passo felpato riprese la strada da dove era venuto. Poi a fine attraversata accelerò e miagolò forte: “’Sti stronzi! Li mortacci vostra, a ‘sti portatori di jella. Mica te fanno magnà in pace!”

Meno male che s’è mosso. Ora possiamo andare,” concluse il conducente rivolto alla bestiola nera.

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30 – Il gatto nero e l’automobile