29 – Il grillo, il rospo e la tartaruga

 

Un prato verde sterminato, l’erba alta della primavera inoltrata, una pozzanghera ai margini del prato. L’erba era rigogliosa, perché le piogge erano da poco allentate ed il sole la riscaldava. Il giusto tepore dalla mattina alla sera aveva creato un ambiente favorevole alla vita dinamica di tutti gli esseri che frequentavano quel paradiso terrestre.

Non distante dalla pozzanghera un grillo passava la giornata a sgolarsi dalla contentezza: cantava, cantava incessantemente nascosto nel folto della vegetazione. Non erano pochi quelli che si lamentavano con lui più o meno apertamente: non si dormiva più, non si riposava. Egli non faceva nemmeno la pausa per una pennichella. Quel continuo “cri, cri” aveva annoiato, anzi stancato la pazienza di molti.

Un rospo, che stazionava nella vicina pozzanghera, era condannato a starsene spesso sott’acqua per attenuare quello stridere incessante, noioso e forte. Benché, pure lo stare sott’acqua non eliminava l’inconveniente, anzi a volte pareva che il liquido aumentasse il fastidio. Alla fine anche il rospo, sempre paziente, un giorno sbottò e glielo disse: “Senti, grillo, o la smetti, o ti calmi e ci fai riposare, o qui finisce male… per qualcuno di noi!”

Che vuoi dire? È una minaccia? Devo aver paura?”

No, ma la devi finire di sgrillare di continuo giorno e notte. Io te l’ho detto. A te decidere che fare…”

Dopo questo duro scambio di opinioni, il rospo parlò con i vicini, la tartaruga, le ranocchie, una biscia, un cinghiale, una cornacchia e qualche altro animale.

Tutti si riunirono in assemblea con all’ordine del giorno la “rottura di scatole” incessante che il grillo procurava alla comunità animalesca.

Io, cari compagni, se quello non la finisce, uno di questi giorni me lo magno. N’ho le tasche piene”, esordì il rospo.

Calma, – intervenne una rana, consapevole di avere qualche cosa da farsi perdonare anche lei -, se lo trovo, ed io lo troverò, ci metterò una buona parola, affinché lui si sfoghi un po’ meno, ma lasci riposare anche le nostre orecchie nell’arco della giornata”.

Io veramente sono un po’ sorda, – precisò cauta la serpe -. Non lo sento sempre. Sarà che quando mi muovo – e mi sposto spesso – con il mio rumore copro quello del grillo. Sta di fatto che non mi sento coinvolta …”.

Io, – disse la cornacchia – per il fatto stesso che c’è qualcuno che rompe la tranquillità, l’ordine costituito, sono disposta a punire i colpevoli, chi sgarra; oppure ad appoggiare chi ha bisogno. Comunque, se lo trovo sui miei passi – ed io mi muovo molto –, farò in modo che il grillo non disturbi più”.

Certo che siete tutti severi con gli altri e forse meno con voi stessi. Volete che io conti i difetti vostri? Io non lo conosco il grillo, non ho nulla da spartire con lui, ma forse per mia indole sono più paziente. Insomma, sta di fatto che eviti di sentire e di puntare l’ascolto il quella direzione: mi tappo le orecchie. A me non interessa che il grillo canti. Buon per lui; già il pensiero mi dà allegria…”, lo difese la tartaruga.

Il cinghiale pure si defilò dalla discussione: “Io sono sempre in giro. Frugo, grugnisco, raspo, non ho tempo di ascoltare i canti degli altri. Anzi non li sento proprio. Vengo alla pozza per rinfrescarmi un po’ e riparto. Fate altrettanto. A me non dà noia, a meno che non mi capiti sotto il naso. Se non vedo, non penso; con l’istinto posso zittire la fame ed i… grilli dei campi”.

Insomma, ho capito – concluse il rospo – volevo un consiglio, un aiuto da voi e voi tutti evitate di darmelo. Anzi siete favorevoli “all’allegria” del grillo. Sentite, io non mi posso allontanare dall’acqua. Visto che non mi avete convinto e sono rimasto sulle mie posizioni, se mi capita, lo elimino. Diteglielo pure…”.

Calma, rospo mio. Non essere drastico nelle conclusioni. Anche tu potresti incappare nelle mire di altri. Potresti dar noia con il tuo ingombro assai brutto, con la tua presenza sgradevole per l’estetica e per la voce, od anche essere utile a qualche amico nostro e noi allora non ti potremmo difendere…”, minacciò velatamente la tartaruga.

L’assemblea fu sciolta con molte idee dei partecipanti più chiare, ma senza un consiglio condiviso.

Il rospo, dunque, tornò alla pozzanghera deluso e deciso di risolvere il problema da solo: eliminare l’inconveniente, il grillo pettegolo.

Intanto bisognava cercarlo e trovarlo. Poi era necessario non fargli capire che era ricercato per l’esecuzione di una sentenza capitale a suo danno.

Il rospo iniziò la ricerca del reo. Si muoveva in mezzo all’erba alta con fare circospetto, piano…, piano…, lento, silenzioso, attento, guardingo alla ricerca ed all’avvicinamento dell’obiettivo. Però ogni volta che arrivava ad un passo dal grillo, questo cessava il suo canto e si spostava più là. Poi ricominciava.

Il rospo presa la nuova direzione, si muoveva verso quella. Il grillo, allora, si zittiva per un bel pezzo ed il rospo si disorientava.

La tacita battaglia tra i due riprendeva ogni giorno daccapo, senza arrivare alla conclusione. Però il rospo in questi ripetuti tentativi, in questi spostamenti imparò qualcosa di sicuro: il grillo al suo avvicinarsi si allontanava dalla casa, un buco profondo in terra in mezzo all’erba più alta, poi vi tornava al cessato pericolo.

Fu così che il rospo trovò il buco del grillo. Si mise fermo lì, dormì lì e lo badò fino al giorno dopo. Il giorno successivo, quando il grillo s’affacciò sul foro della sua galleria per iniziare una nuova cantata, il rospo era già lì davanti a bocca aperta e senza preamboli lo ingoiò.

La situazione si fece seria per il grillo, ma non disperata, perché l’anfibio, non avendo denti, non lo triturò, ma nemmeno lo ingoiò del tutto. Infatti i piccoli artigli del grillo ne frenavano la discesa nello stomaco, dove forse sarebbe stato ucciso dai succhi gastrici.

Il grillo rimase impigliato per le zampe tra la gola e la lingua senza scendere più in basso. Qui, dopo i primi attimi di spavento, raccolse le idee per decidere il da farsi. La conclusione fu: continuare il suo “lavoro” come se nulla fosse accaduto e… sperare nella buona sorte.

Il “cri, cri” continuo cominciò ad uscire dalla bocca del rospo, ma con tono falsificato, in modo più sgangherato, più stonato, sicché pareva che proprio fosse il rospo a male imitare il grillo.

Qualcuno sentì, ma seguitò a non dire nulla, a non lamentarsi. Soltanto la tartaruga capì la situazione e dopo una giornata di calmo cammino si avvicinò al rospo.

Com’è? ora ti sei messo a cantare tu? Vuoi zittire il grillo con pari lena?”

Il rospo aveva la faccia triste, la bocca aperta triste che non gracidava e mal grillava. Ogni tanto si girava su se stesso, si contorceva dal dolore e poi rimaneva lì come prima. Insomma non poteva rispondere, né rispose alla provocazione della tartaruga.

Che faccio, me ne vado? O vuoi un aiuto?”, continuò lei.

Il rospo con una zampa indicò la gola, dove aveva il male, dov’era l’origine di tutto il guaio.

Apri bene la bocca ed io guardo cosa posso fare per te. Poi parliamo”.

Il rospo obbedì. La tartaruga infilò la testa dentro, vide il grillo impigliato in gola, lo prese e lo estrasse, strappando anche qualcosa. L’operazione, però, ebbe successo: il grillo fu rimesso in libertà, nonostante la sua testardaggine, il rospo fu libero dalla pena, nonostante qualche sanguinante scortico.

E vissero tutti felici e contenti? No, perché prima i contendenti dovettero subirsi la tremenda requisitoria con imposizione di un patto di pace da parte della tartaruga: “La galleria del grillo d’ora in poi sarà del rospo. Egli si assottiglierà tanto, finché vi possa entrare senza mangiare nessuno. Il grillo potrà cantare senza limiti, ma lontano dalla casa del rospo e dalle pozzanghere occupate dai rospi. La decisione non è discutibile, è senza contraddittorio, perché qui l’unica ad avere ragione sono io, che ho salvato tutti e due dagli impacci. Obbedite e buona giornata”.

29 – Il grillo, il rospo e la tartaruga