35 – Il mago e la fata

 

Tra i bagagli di Chiara, sistemati alla rinfusa nella cameretta, vidi carrozze, castelli, bambole, vestitini di barbie, bestie e bestiole di plastica, poi c’erano tutte quelle ragazze con le ali, dalle gambe secche, asciutte, e altri personaggi usciti dalla fantasia commerciale, tutti oggetti coloratissimi.

In disparte impermalito, un mago. Alto, slanciato, un cappello nero a tubo in testa, una giacca verde dal taglio strano con un fiocco voluminoso sul bavero e con due tasche spampanate, piene di qualcosa poco chiaro, aveva sotto pantaloni neri e scarpe lunghe ai piedi. Tutto rigorosamente di plastica. Di fronte a lui con altrettanta eleganza e consistenza stava ritta, bella e giovane, una fata dai capelli d’oro fluenti, di plastica, raccolti da una copricapo a punta, azzurro, macchiato di stelle d’argento; era vestita di un abito lungo, azzurro per metà, velato d’organza, stretto ai fianchi sottili. La fata teneva in mano il simbolo del suo ruolo: la bacchetta con la stella scintillante e prodigiosa, utile in molte circostanze della vita.

I due si guardavano di traverso. I loro sguardi erano fissi, ma di traverso: si odiavano senza saperlo e senza volerlo.

Un giorno Chiara decise di farli sposare: erano belli, vicini di scatola, come tutti gli animali domestici e della foresta, del resto. Si dovevano amare per forza. Mettendo su famiglia sarebbero nati altri maghi e fate; così i moltissimi ostacoli della vita sarebbero stati facilmente risolti: ovunque si sarebbero trovati un mago od una fata pronti a prestare aiuto alla gente.

“Buongiorno, signora fata, come va oggi?”

“Oh, buongiorno, signor mago, sono lieta d’incontrarvi. Io sto bene e la mia giornata sarà più lieta, oggi, dopo il vostro saluto”.

“Vogliamo fare due passi insieme? Se non oso troppo, vi porgo il mio braccio. Passeggeremo e parleremo, come se la nostra amicizia durasse da sempre”.

“Grazie. Io sarò contenta di starvi accanto. Andiamo,” mentiva un po’ la fata; anzi, mentivano tutti e due.

“Allora che dite di questa bellissima giornata, mia carissima fata? Il cielo l’ha mandata apposta per noi. È un auspicio di tanta felicità”.

“Felicità è una santa parola. Riempie la bocca ed il cuore. Siete voi felice, signor mago, amico mio?”

“Sono felice a volte sì a volte no. Oggi, da che vi ho visto, sono molto felice e vorrei condividere con voi, mia dolce fata, quello che sento nel cuore”.

“Grazie! Grazie della compagnia e dei complimenti…”

“Io sento qualcosa dentro di me che mi spinge ad amare voi e la vostra bellezza. Voi potreste ricambiarmi?”

“Ho qualcosa anch’io nel cuore riservato a voi. Penso di ricambiare, se il vostro slancio sarà per sempre”, concluse la fata.

Intanto i due, con passo grazioso e leggero, s’incamminarono lucidi nei loro vestiti, prendendosi a braccetto. Erano felici. Il loro sguardo era rivolto ovunque, verso la natura, verso il cielo, quando ripresero la conversazione.

“Sentite, caro mago, se sarà un amore duraturo, come faremo con i nostri poteri?”

“Non capisco, mia bella fata, quali problemi vi assillano?”

“Sì, perché, se io vi amerò, non voglio che i vostri trucchi, i vostri imbrogli contaminino le mie opere di bontà e di meraviglia… Mettiamoci d’accordo prima, subito”.

“Mia dolce fata, i nostri primi passi insieme non partono con il piede giusto, se già pensate al mio lavoro come un imbroglio. Io trasformo, sublimo le cose che gli uomini usano e di cui hanno bisogno; indovino, aiuto la fatica di chi è mio amico, contrasto chi non mi stima…”.

“Ma volete mettere, mio amabile. Io do vita a ciò che non c’è e non esiste. Con me appare e scompare ciò che d’impalpabile esiste, soprattutto dentro gli animi ben disposti. Le cose toccate da me rendono felici…”.

“Belle cose mi dite, mia cara, come se io non producessi di più e fatti più sconvolgenti. Pensate soltanto a quando la mia arte fa sparire castelli e fantasmi e fa apparire eserciti, aiuti militari ed economici per i miei protetti. Muta situazioni da povertà a ricchezza, imbandisce tavole apparecchiate per chi ha fame…”

“Io non uso trucchi come voi. Io converto i cuori e li rendo felici dopo che mi abbiano dimostrato il bisogno e la volontà di esserlo. Non mi credete? Non credete che il mio potere è più nobile del vostro?”

“Oh, io credo a tutto di voi. Credo che io sono rozzo di fronte al vostro animo limpido, che voi rendete felici tutti i buoni, mentre io mi perdo in impiastri e chiacchiere. Per questo ho deciso di amarvi. Basta che chiudiamo qui l’ostentazione delle nostre abilità…”.

La conversazione aveva preso subito una brutta piega, che li avrebbe portati in un vicolo cieco, prima che a manifestazioni d’amore. I due se n’accorsero e pensarono di riprendersi.

“Mi pare che i nostri discorsi ci portino lontano, fuori dalle nostre aspirazioni iniziali – rifletté la fata ad alta voce –, parliamo di noi, dei nostri sentimenti. Per il lavoro ci metteremo d’accordo. Nobile mago, potreste amarmi davvero?”

“Sono qui soltanto per questo, ho detto, mia incantevole fata. Io e voi metteremo su famiglia e sarà una famiglia piena di maghi e di fate, che arricchiranno il mondo dei bambini e degli uomini. Il nostro sarà un amore senza confini. Anzi, quando cominciamo?”

“Come correte, mago mio! Aspettate un po’: dobbiamo prima imparare a conoscersi meglio, dobbiamo avere il consenso della nostra padroncina, la nostra guida”.

“Se è così, aspetto. Per voi aspetto. Ma la cosa pare complicarsi. È più facile compiere una magia, oggigiorno, che sposare una fata…”

“Nella vita mai correre, nell’amore è necessario andare piano: vedrete, si sistemerà tutto come per incanto, docile e amabile mago”.

“Sì, io invece ho deciso di amarvi subito. Vi abbramagherò. Farò una magia per cui subito saremo marito e moglie con la testimonianza della sola nostra guida, senza andare troppo per le lunghe…”

“Se ci riuscirete, mi lascerò amare. Ma sappiate che vi opporrò tutta la mia forza fatata…”

La fata non finì la sua risposta, che vide avvicinarsi un cavallo bigio trainante un elegante calesse, poi vestiti da sposa e servi pronti a riverirla:

“Inginocchiatevi, amore mio. Ecco, accettate i miei doni di nozze, ecco il mio anello. Questa è la servitù che vi acconcerà per la cerimonia”, e con le braccia solcò il cielo di segni intrigati e strani.

“No, amabile mago. Non va bene così, – rispose la fata di fronte a quella magica prepotenza messa in campo all’istante. – Non era questo che avevo previsto e desiderato per il mio matrimonio. Se tanto presto devo dire di sì a voi, allora voglio qualcosa di più bello e ricco. Voi non mi trattate alla mia altezza… Ecco qui la carrozza bianca ed i miei alati cavalli bianchi che ci condurranno alla cerimonia e nel lungo viaggio di nozze. Ecco qui le damigelle ed i paggi per noi. Ecco gli abiti appropriati degli sposi: un ricchissimo frac per voi. Vedete, il mio è bianchissimo. Rimane solamente un nastro azzurro alla vita. Vi piace il corredo chiuso nelle mie stalle e nei miei guardaroba?”

“Fatato amore, siete stata stupefacente per me. Lasciate almeno che vi possa condurre a casa mia, nella rocca su quel monte celeste. Non conoscevo del tutto le vostre forze sublimi. Mi sento un mago colpito da un incantesimo…”

“Se permettete ancora, amore delizioso, oserei correggervi: sul vostro monte vorrei un castello che svetti nell’azzurro del cielo!”

“E sia come volete, incontentabile principessa!”

“Regina, prego!…”

Chiara a questo punto ritenne utile cambiare stanza. Avvicinò il mago e la fata in unica mano. I due si abbracciarono, guardandosi ancora di traverso come li portava a fare quel collo di plastica: “Ora siete marito e moglie. Litigate senza disturbare i vicini. Andate dove volete, ma non fuori dalle mie scatole e dalla mia stanza. Capito? Che la nonna non vuole giocattoli in giro!”

 

35 – Il mago e la fata