40 – I NONNI NON MUOIONO MAI

 

Il parco pubblico della popolosa città era il luogo più amabile e ambito da grandi e piccini. I grandi lo usavano per passeggiare e correre girando intorno, per prendere una boccata d’aria buona mattina o sera; i piccoli lo usavano come luogo sicuro per correre, per giocare, per liberarsi dagli assilli dei grandi all’aria aperta.

Tigli, abeti, cipressi, pini ombreggiavano ogni spiazzo, ginestre, cespugli sempreverdi, qualche pungitopo, dei ciuffi di rose qua e là componevano il parco, che era molto esteso e verde sempre: fresco d’estate, al riparo nei periodi di mezza stagione. Strade sterrate e vialetti battuti lo percorrevano, lo intersecavano e facevano capo ad altri spiazzi aperti. Poche erano le strade asfaltate. I colori, diffusi o vivaci, apportavano bellezza, allietavano lo sguardo, lo rendevano variato e gradevole nelle sfumature di ogni stagione: aiutavano a distrarre i frequentatori dalla quotidianità. Panchine e tavoli di legno permettevano un momento di riposo e di distensione per chi doveva controllare i piccoli, tirando due chiacchiere in libertà. Il profumo di resina, di fresco rinnovava l’afflato delle narici ogni volta. 

Un gruppo di nonni aveva preso a frequentarlo ed a ritrovarsi lì portandovi a spasso i loro nipotini, luogo giusto per la salute di tutti, appunto. All’inizio della nostra storia chi spingeva una carrozzina, chi passeggiava tenendosi il bambino per mano, chi giocava ad essere piccolo quanto il nipotino. 

Tutti i pomeriggi dopo le quattro lo stuolo di nonni e di bambini, maschi e femmine, di età uguale o di poco diversa, come per magia, come per antico rito, come per un richiamo concordato si ritrovava lì per rispondere ai loro impegni di famiglia. Era divenuta una sana abitudine, tanto che si davano proprio appuntamento al giorno dopo: “Ci vediamo domani, ciao…”, era il saluto.

Giampiero era il nonno di Giulio, Luigi era il nonno di Lucrezia, Giovanni spingeva Andrea, Filomena cullava Camilla, Vera passeggiava Lorenzo, Francesco accompagnava Alessia. Saltuariamente poi si aggregavano a loro altre coppie meno assidue.

I piccoli, crescendo, avevano preso a giocare insieme, a cercarsi, a bisticciare. I grandi, prima avevano preso a scambiarsi qualche parola, poi, costruita l’amicizia, avevano preso a incontrarsi, a raccontarsi le loro vicende e le loro vicissitudini, fino a mettere nella fiducia degli amici qualche confidenza di famiglia, qualche avventura.

Sicché al mattino o di pomeriggio capitava di vedere spingere carrozzine, ma capitava pure di vedere nonni correre da un albero all’altro, da un cespuglio ad un altro per giocare a nascondino, fin quando improvviso sentivi: “tana, liberi tutti”. Era il più grandicello dei pargoli, un po’ più smaliziato che sorprendeva nonni e amichetti nel gioco di sveltezza e abilità. 

Passavano i giorni, passavano gli anni, i bambini crescevano bene, i nonni invecchiavano, ma continuavano a seguire la loro discendenza con amore e assiduità. Il tempo aveva portato un grande dono a tutti, grandi e piccoli: aveva consolidato un’amicizia comune, forte.

Capitò pure che il nonno di Giulio e la nonna di Camilla si prendessero in simpatia più di altri e si attardassero più degli altri in discussioni sull’amicizia, sulla filosofia, sugli amori…

Il gruppo crebbe in età e giudizio. I nonni si fermarono e trovarono il tempo per una partita a dama, qualcuno cominciò a portarsi le carte dietro, sempre pronto a tirarle fuori quando rallentava la frenesia dei giovani; poi… c’era stata la guerra. E giù racconti di pericoli e imprese vissuti: tutti i nonni erano reduci ed ex combattenti: mamma mia, le avventure, i rischi passati e rivissuti. Le nonne, invece, erano state tutte staffette partigiane per seguire un amore nascente, magari di fuoco, in certi luoghi impervi… Ma pure i ragazzi a confine con l’adolescenza si fermarono, adottarono un tavolo e cominciarono a raccontarsi di professori e compiti male impostati, mal concepiti, mal corretti e mal valutati. Le lagnanze, le incomprensioni, i lamenti, le ingiustizie e… i piani di ribellione contro i professori prepotenti affollarono le menti di quelli sottostimati.

Alcuni maschietti trovarono corrispondenza nei sentimenti di altrettante femmine. Vi furono le femmine, però, che furono indecise nel fermare l’amore su uno degli amici di sempre. In fin dei conti tutti erano amici di tutti e tutti si confidavano ogni cosa, compresi il nascere e il crescere dei sentimenti da adolescenti, prossimi all’amore.

Un giorno una brutta notizia gelò il gruppo: era venuto a mancare Luigi. Tutti parteciparono al dolore di Lucrezia con un sentimento condiviso. Tutti furono tristi insieme. Poi toccò a Giampiero, sicché Filomena rimase vedova… per la seconda volta. Dopo morì Vera e giù giù in sette anni, o poco più, i nonni di una volta, gli amici del parco, i nonni di tutti i ragazzi furono richiamati in cielo. 

Ormai, però, quei nipoti erano grandi, autonomi: chi all’università, chi alla maturità. Tutti legati da un’amicizia profonda, sì, come di famiglia, ma tutti con una propria vita sentimentale in corso. Nessuno s’era fidanzato con l’amico di giochi di un tempo.

Passò qualche altro anno. Le amicizie di una volta parvero dimenticate, messe in disparte, disperse. Nessuno dei ragazzi del parco pareva ricordare il legame di una vita insieme. Iniziò anche per loro la ricerca di una sistemazione lavorativa, come per tutti i coetanei. 

Ma proprio a questo punto della vita, della nostra storia, ci fu uno che volle ricordare gli amici del parco. Giulio volle rivivere ancora una volta i legami della fanciullezza, della pubertà, di una vita intensa passata troppo veloce. Volle rivivere almeno un saluto… prima di dimenticare del tutto.

Un giorno chiamò Lorenzo, che chiamò Camila, che telefonò a Vera e così di seguito, finché tutti e sei il 24 giugno del 1999 si ritrovarono nel loro parco, seduti sulle loro panchine intorno al tavolo di legno di una volta, a quello adottato.

Con nostalgia ricordarono tutti i compleanni festeggiati lì. Proprio quel tavolo ne era stato testimone per tutti, giovani e vecchi: a chi l’aveva portato alla maturità, a chi aveva l’avvicinato alla… chiusura della storia.

I giovani si strinsero tutti in un grande abbraccio e si sedettero al loro posto. Poi cominciarono a raccontarsi degli studi, del lavoro, della famiglia e chi aveva un amore lo rese noto a tutti. Fu bello vedere gli occhi degli amici di un tempo che brillavano comunicando o ascoltando l’ultima, la vera conquista di uno di loro. Soltanto Alessia e Andrea erano poveri di notizie in questo campo, ma anche loro quel giorno stavano costruendo una bella giornata felice, con un tuffo nel passato. 

“Ragazzi, per rivivere in pieno questo giorno e dare un senso a questo ritrovarsi dobbiamo ritornare piccoli, dobbiamo rigiocare come allora”, propose Camilla. “Lorenzo, conta…”. 

“Sìììììì, evviva!”, fu il coro.

In un attimo come una nuvola colpita dal temporale, quei giovani si sparpagliarono. Ognuno ricercò il cespuglio preferito, o il pedone del pino per nascondersi, cresciuto anche lui.

“Tana per Giulio!”, il primo avviso. Passò qualche secondo di silenzio assoluto, poi: “Tana per Lucrezia…”. Il giro si chiuse. I partecipanti scanzonati, festanti, e saltellanti si ritrovarono tutti in cerchio a commentare, a dire scemenze, esilaranti…

“Tana, liberi tutti!”. Imprevista col suo avviso saltò fuori Vera da dietro il tronco di un pino lontano. Ed ancora Giampiero da dietro l’albero vicino, poi Luigi e Giovanni dal cespuglio più avanti; infine si palesarono ancor più lontani Filomena e Francesco. I nonni, c’erano tutti.

Un coro di “Oh”, di meraviglia fu sospirato dai ragazzi insieme. “Mamma mia, sono tornati anche i nonni a giocare con noi! Che bella sorpresa”, gridò Giulio. “Evviva, evviva!!!”. I ragazzi corsero incontro ai nonni ad abbracciarli. Tutti si strinsero forte, come non avevano mai fatto, tutti si commossero.

“E ora che facciamo? Vi siete fermati?” Chiese Vera. “Via, seguitiamo a giocare. Finiamo la partita. Come una volta, poi ci raccontiamo. Voi ne avrete di cose da dire…”.

Il gioco riprese, come una volta, come se nulla fosse accaduto nel frattempo. E giocarono sul serio: i giovani scattanti, sempre pronti, i vecchi con gli acciacchi di sempre, ma nessuno ci fece caso, nessuno avanzò impedimenti, nessuno ebbe a ridire su chi si attardava ad uscire dal nascondino.

Si stancarono tutti. La solita nonna s’accasciò sulla panchina al tavolo: “Ragazzi, basta! Io sono cotta…” 

“Anch’io…” aggiunse un altro nonno.

“Sì, forse abbiamo esagerato a riprendere dopo tanto tempo con tanta passione. Ci fermiamo, per oggi”.

“Andiamo al bar a prendere qualcosa tutti insieme, a festeggiare, perché i nonni avranno tante cose da raccontare…”. 

“E perché voi no? Noi per la verità v’abbiamo seguito e visto tutti, però le novità ce le dovete raccontare voi…”. Precisò Francesco. E s’avviarono…

“Ma nel vostro mondo allora vi vedete. Che vi dite, che fate?”, chiese Lucrezia.

“Se state fra le nuvole, hai voglia a fare nascondino, chi vi trova più? Non dite che avete ripreso a pomiciare”, aggiunse di seguito Giulio, malizioso.

“Intanto abitiamo tutti in paradiso – rispose Luigi -, come si dice da viventi. Noi vi vediamo ogni momento, sì, e non siamo lontani. Il paradiso non esiste. Il paradiso è anche questo: essere sempre presenti e felici. È tutto. Non abbiamo lasciato niente oggi, soltanto ci siamo resi viventi per condividere la vostra felicità. Vi abbiamo visti così contenti e puri di mente nel voler continuare la vostra e la nostra amicizia che non abbiamo potuto rimanere spirito. Oggi per il vostro amore pieno, così universale ci siamo sentiti coinvolti e siamo qui in carne ed ossa come quando abbiamo iniziato vederci, noi vecchi, voi fanciulli”. 

“Ma nonno Giampiero e nonna Filomena hanno finalmente avuto tempo e modo per confidarsi i loro sentimenti o no? Lasciarsi andare alle loro aspirazioni che il timore umano frenava?”, chiese Alessia.

“Ragazzi, nel nostro stato siamo soddisfatti, ogni amore è puro e completo. Nei nostri cuori c’è spazio per tutti. Non abbiamo bisogno di altro. Non v’è gelosia, non v’è odio”, rispose Filomena, filosofando.

“Lo dicevo, io, – commentò Lorenzo -, che nonna non era morta. Me lo sentivo. Gli volevo troppo bene ed il bene non ha fine, non muore. Noi siamo sempre bambini ed i nonni sono ancora qui ad assisterci”.

“Allora finalmente possiamo ubriacarci tutti, oggi – giocò Andrea -. Tanto i nonni la reggono la birra e continueranno a guardarci per non andare a sbattere”.

40 – I NONNI NON MUOIONO MAI