21 – Gli animali vicino al lago

Il 22 aprile dell’anno appena passato tutti gli animali della foresta si svegliarono al far del giorno, come accadeva da sempre. L’aria era fresca, una leggera brezza sfiorava la superficie del laghetto, la guazza bagnava l’erba e le foglie basse delle piante; tutto serviva alle bestie delle diverse specie a rinfrescarsi, a ridarsi la spinta per il nuovo giorno che era loro davanti.

Sbrigate le faccende “personali”, c’era da rispondere alla voce dello stomaco, c’era da mettere a posto l’esigenza della fame. Fare colazione. La volpe al limite tra bosco e prateria puntò la lepre e, quando la vide completamente assorta a distruggere un cesto d’erba fresca, l’assaltò alle spalle e se la mangiò. Un leone al bordo della radura puntò una gazzella che brucava le sterpaglie: traccheggiò un po’, calcolò le vie di fuga della preda, le distanze, fece memoria delle possibili velocità sue e dell’altra e, nel momento di maggiore tranquillità della natura intorno, balzò allo scoperto. La gazzella si accorse di essere presa di mira, scattò e si mise a correre a salti scomposti, ma era in ritardo; ormai le distanze tra lei e il leone si accorciavano, finché non ci fu più nulla da fare. Non lottò nemmeno. Un falco posato sulla vetta d’un albero altissimo s’accorse di un topo che ai piedi della stessa pianta rosicava le ghiande cadute a terra. Non ci pensò due volte, raccolse le ali e si fiondò giù come un proiettile, senza un fruscio, silenzioso. Aprì le ali all’ultimo istante prima di sbattere al suolo, per frenare e per avvolgere la preda. Il topo non ebbe una via si scampo. Anche il falco si era sfamato. Un po’ più in là tra il ristagno d’acqua e le fratte del bosco un grande serpente, un boa, vide un agnellino che salterellava da solo, lontano dalla mamma e dal branco delle pecore. Lo puntò e, strisciando sinuosamente e silenziosamente, in un attimo gli fu addosso. Lo avvolse del suo corpo schifoso ed ingombrante, lo strinse e lo soffocò per poi inghiottirlo con comodo, lentamente.

Ai bordi del solito stagno, posto al centro della foresta, una rana verde con la gola gonfia cantava la solita canzone. Anche se gracchiolosa e stonata nel canto, non si era distratta, aveva seguito tutte le mosse dei suoi vicini, aveva visto e compatito la fine delle vittime di quella mattina.

Ella pensò un po’, poi, decisa di fare uno scherzo a tutte quelle bestie carnivore e feroci verso i loro condomini della foresta, lanciò un messaggio per la convocazione di una conferenza. – Graaa!!!, Graaaa!!!!, Graaaaa!!!!! –

Tutti gli animali sentirono, tutti capirono e tutti accorsero intorno alla grande pozza.

Amici, – esordì la rana, quando li vide tutti tesi e sospesi in attesa delle novità – ho assistito al vostro lavoro di prima mattina, alle vostre lotte, alla vostra colazione, insomma. Tutti avete fatto colazione mangiando la bestiolina che avevate più vicino. Non è stato un bello spettacolo, né utile per i nostri fratelli defunti. Inoltre tutti avete mangiato senza lavarvi la bocca, né le unghie, né il cibo. Che schifo! Gla, glaa, glaaa! – E con smorfie della bocca, della gola e della lingua accompagnò il suo gracidare prolungato, così che a tutti gli astanti, o per la mimica dell’oratore o per rimorso di coscienza, parve proprio di essere colpiti da improvvisa nausea.

Mentre per imitazione o per partecipazione al discorso, conati di voltastomaco cominciarono a colpire gli animali accorsi alla conferenza, rei di aver fatto colazione, la rana rincarò la dose, rincalzò i rimproveri, alzò la voce…

Vomitarono tutti, bestie feroci e animali innocui, erbivori e uccellini… Ogni animale, ogni insetto rigurgitato, come per incanto, riprese il suo posto nella vita ed il suo posto nella natura…

Ma da mezzo al gruppo un cerbiatto alzò la zampa:

– Ma che dici?! Io ho mangiato solo quattro ciuffi d’erba condita con un po’ di rugiada. Che devo vomitare? Ho visto, sì, il leone che mi guardava concupiscente, ma l’ho tenuto alla larga. Sono stato attento, io. . . Così dovrebbe fare ognuno di noi, sapendo che c’è sempre qualcuno che ha fame di te!…-.

A questo punto rivolto alla rana si fece coraggio, allungò il collo anche un pellicano:

– Che hai detto? E tu? Ti ho visto io in mezzo all’acqua, ti sei mangiato una mosca e tanti moscerini pure tu. Certamente ti eri lavata le zampe, certamente il cibo era pulito, ma pure i moscerini erano il tuo prossimo. E la tua colazione è durata tutta la mattina. Mentre la mia non è ancora cominciata e ho tanto vuoto nello stomaco…-. E con un lancio del lungo collo le portò il becco sopra la schiena più spalancato di una fornace.

Fermo! Aiutooo…- supplicò la rana. – Devo vomitare anch’io. Glaaà. – E mosche e moscerini ripresero il loro posto sul lago, poi continuò: – Hai ragione. Nessuno è immune da peccato, nemmeno chi vive pulito… nell’acqua -.

Gli animali rimasero tutti in silenzio. Nessuno sapeva più che dire. Ora ognuno guardava con occhi compassionevoli il suo inferiore, ogni inferiore guardava con occhi di pietà, di supplica e di ringraziamento il suo sovrapposto nella scala del potere, ma tutti avevano un gran vuoto nello stomaco, avevano fame. Che fare e che dire?

La situazione d’imbarazzo venutasi a creare indusse il leone, il re, a prendere la parola per riportare serenità nel regno:

– Signori, sarà bello vivere in pace e nel rispetto tra noi. La rana in fondo ha portato in evidenza un problema, la nostra sopravvivenza. Ognuno vive perché c’è il suo prossimo che gli dà vita. Come faremo a campare se il nostro prossimo muore e finisce? Riusciremo, perciò, a cambiare le nostre abitudini e il nostro istinto di natura? Prima che moriamo tutti di fame, prima che ci autodistruggiamo tutti, prego tutti di intervenire nel dibattito con proposte nuove, che democraticamente metteremo ai voti -.

Alzò le orecchie l’asino e ragliò: – Fate come me, mangiate tutti l’erba e tanta. Si campa lo stesso!-.

– Ed io? – intervenne il ghepardo. – Io, a parte il fatto che non sono abituato, il mio stomaco non tollera l’erba. Se non mangio te, morirò!-.

– Io dico che deve farsi gli affari suoi, la rana, che deve imparare a contare fino a cento, prima di aprire quella boccaccia e dargli fiato –, interruppe il coccodrillo.

– Io metterei ai voti che tutti siano richiamati all’attenzione per la salvaguardia della loro vita, al rispetto della vita altrui – sentenziò la volpe – e tutti mangino quel che gli va, secondo quanto suggerisce la natura…-

– Insomma, che tutto resti come prima! – fece per concludere la tigre.

– Questa non è una proposta, la conoscevamo già, – intervenne il re. – Vogliamo qualcuno che suggerisca qualcosa di nuovo. C’è o non c’è qualcuno?… -.

Passarono lunghi istanti di attesa e nessuno intervenne. Allora il Leone riprese la parola:

– Visto che l’unica proposta (diciamo, proposta!) pervenuta a questa presidenza è quella che tutto rimanga come prima, che ciascuno si tolga la fame secondo come lo spinge la natura, a riprova che siamo d’accordo, mettiamola ai voti. Chi approva alzi la mano! –

A questo punto tutti gli animali, insetti e uccelli, si fecero piccoli piccoli, fino a nascondere la mano con tutto il corpo annesso.

– Bene! – disse il leone, – nessuno ha il coraggio di approvare, nemmeno la tigre e la volpe. Allora mettiamo ai voti chi è contrario a che tutto continui come prima. Fratelli, alzate la mano! -. Si ripeté la situazione precedente. Nessuno intervenne.

– Signori, fratelli. Visto che il problema è di impossibile soluzione, dobbiamo dire che tutto rimarrà com’era avanti la chiamata della nostra amica ranocchia. Si raccomanda a tutti la massima attenzione per non cadere nelle attenzioni del vicino affamato. Auguriamo buon appetito a chi ha fame e lunga vita agli altri… -.

L’assemblea fu sciolta. Ognuno riprese il suo posto nella vita, ma anche… nella morte.

– Tutto come prima. Tutto come prima. Tutto come prima… – si sentì ripetere all’infinito. – L’ha detto il re. L’ha detto il re. L’ha detto il re… -, continuarono le voci.

Subito si vide la volpe in agguato, con sguardo scrutatore dell’orizzonte all’infinito. Ricercava la sua lepre: – Dov’è? Ormai lei conosce già i passaggi dalla bocca allo stomaco, dalla morte alla digestione. Soffrirà meno a rifare il solito cammino… -.

Peccato che era ancora troppo vicino alla riva del laghetto, dove era rimasto sornione il coccodrillo. La serie della colazione del mattino appena passato, degli affamati e delle loro vittime s’interruppe… per rodarne un’altra.https://www.google.it/?gfe_rd=cr&ei=YZ_lV7ufFajb8Af67qbwAg

21 – Gli animali vicino al lago

20 – Il serpente ed il rospo

In un fosso di campagna tra l’umido dell’erba ed una pozzanghera viveva quasi tranquillo padrone assoluto, un rospo grigio e grande. Viveva muovendosi lentamente e pigramente riuscendo a pescare gli insetti di quell’ambiente malsano. Anche un serpente striato verde e giallo aveva segnato il territorio del suo possesso in quel luogo. Anch’egli circolava in continuazione vigilando su chi entrava e chi faceva uso di quella porzione di fresco ambiente senza averne diritto. Una volta finita l’ispezione, si cercava un angolo soleggiato e vi rimaneva fermo mimetizzato tra erba e fiori acquatici per ore ed ore. Poche volte il rospo ed il serpente si erano incontrati durante i loro spostamenti, ma ciascuno aveva fatto finta di non accorgersi dell’altro. Né un saluto, né un gesto di rispetto, ma semplicemente si ignoravano.

Fu un caso che, senza accorgersene, si ritrovarono vicini al sole, in uno stato di rilassatezza e di relativa disattenzione. Nessuno s’era accorto dell’altro. Passarono alcuni minuti e la mobile testa del serpente puntò gli occhi sul rospo. Accorgersi del vicino e rendersi conto della favorevole posizione per un buon pasto fu tutt’uno e… zac, con una fiondata precisa afferrò per una zampa il rospo.

Il rospo si accorse del tradimento e si rese conto che la sua vita aveva i minuti contati. Non disse nulla, ma pensò a come uscire da quella situazione, magari restituendo lo sgradito trattamento.

Frattanto la serpe aveva iniziato a succhiare il rospo ed a sforzare fino ad oltre le sue misure le fauci, allargando e sformando le mascelle. Il rospo, sempre zitto, piano piano stava inesorabilmente entrando nell’apparato digerente del suo “amico”. La cosa non gli era affatto gradita, ma era cosciente fino all’ultimo, quando il serpe richiuse la bocca dopo che egli era ormai tutto dentro.

A questo punto il rospo fece un ultimo respiro ed aspettò che le contrazioni lo spingessero sempre più in profondità. Quando si rese conto che la serpe si era fermato per iniziare in pace la sua digestione, il rospo concentrò le sue forze ed iniziò a gonfiarsi spargendo dalla sua pelle degli acidi fortemente corrosivi. La pelle della serpe già abbastanza tesa per contenere quel boccone intero, dovette continuare ad allentarsi. Naturalmente la sua elasticità finì prima che il rospo cessasse di crescere. La serpe cominciò a divincolarsi dal dolore. Si mosse di qua e di là, cercò aiuto dagli amici, dai vicini, da chi poteva. Raccontava di aver ingoiato un rospo e che gli era risultato indigesto e che lo stomaco gli bruciava, anzi gli schiantava.

Non trovò nessuno che avesse una ricetta da consigliarli: anzi, c’era chi gli prevedeva una prossima brutta fine; che appena fosse crepato sarebbe stato preda del rospo e di tutti quelli a cui aveva attentato la vita fino allora, formiche, mosche, topi.

Crepò senza tanti complimenti né rimpianti da parte di nessuno, ma non morì. A questo punto, vedendolo impotente, si fecero avanti in tanti a rinfacciargli il dolore che aveva procurato lui campando a spese della vita altrui: a chi aveva mangiato un fratello, a chi i genitori, a chi gli amici e conoscenti. Il rospo sempre placido e lento riprese fiato, poi afferrò la serpe per la testa ed iniziò ad ingoiare quel lungo boccone. Impiegò molti minuti, ma per lui questo non era un problema, aveva tempo, pazienza e pelle elastica.

20 – Il serpente ed il rospo