36 – L’UOVO DI LEGNO

In mezzo a tante cosuccie, cose di cucito, per i rammendi, in mezzo ai rocchetti di refe nero e bianco, in mezzo ai gomitoli, agli aghi di tutte le misure, alle forbici la nonna teneva un uovo marrone quasi nero, di legno leggero, con la superficie perfettamente liscia, lucida, ma dura.foto-copertina-voli.jpg

L’uovo serviva per rammendare le calze di tutti i tipi. A quei tempi le calze erano di lana grossa, fatte a maglia, bianche o colorate per le donne, nere o marroni per gli uomini, ma con la soletta bianca.

Di calze per gli uomini, che lavoravano i campi con le scarpe grosse, di cuoio, ce ne volevano tante paia, anche se non venivano cambiate tutte le sere. Ce ne volevano tante, perché si consumavano tutte nel tallone e nella punta del ditone a causa dei molti passi necessari a girare quel podere nascosto tra i boschi della Contea!

La nonna, dopo il bucato, ripassava le calze dei suoi uomini ad una ad una, le ispezionava: quelle rotte le separava dalle buone per rammendarle. A questo punto della cernita lei tirava fuori dal cassetto del tavolino il suo uovo di legno, l’ago ed il gomitolo di lana ed iniziava il lavoro di rammendo, che durava tutto il pomeriggio. Se era d’estate, si metteva all’ombra della grande ficaia nata davanti casa e con pazienza scrutava, rigirava ogni calza, l’uovo, il filo e l’ago. Trovava il buco e rammendava, rammendava… Passava quelle due orette più tranquille della giornata a cucire ed a pensare, sola, in compagnia di tutta la vita che le girava intorno in silenzio: il marito a riposare – la mattina si doveva alzare alle quattro -, i figli dietro a chissà quale faccenda, i nipotini calmi e tranquilli sotto il controllo… degli animali da cortile.

In quel momento la nonna poteva allentare l’attenzione, senza mai isolarsi del tutto dal mondo. Era il momento che poteva dimenticare la vita del podere. Pensava, canticchiava qualche nenia, parlottava, forse brontolava. Ma andava avanti con la sua faccenda. Tra l’altro nessuno le aveva mai detto che quell’uovo liscio e leggero aveva un’anima. Eppure non era di gallina. Non era vivo. Non sarebbe mai nato e nemmeno era “bogliolo”. Ma parlava… Addirittura. Proprio così: nonna non s’era mai accorta che quell’uovo chiacchierava e, se lo interrogava, rispondeva.

Un giorno di sole e di caldo, forse un po’ insonnolita nei movimenti dell’arte rallentati, mentre lo girava dal buco di un tallone al buco di un ditone, ebbe un attimo di incertezza e con l’ago lo bucò.

Lo bucò tanto per dire. L’uovo era di legno. L’ago impuntò nella sua superficie e scivolò per andare ad infilarsi nel dito dell’altra mano di lei.

“Accidenti… che diavolo mi fai, tradisci? Ora insanguino tutto. Devo rilavare la calza… Sei cocciuto di testa”.

“Nonna, stati attenta, non dormire. Io sono sempre stato “duro” così!”

“Come? Rispondi, culo tondo? Vedi che non dormo? T’ho sentito”.

“Sì, m’hai bucato e ti sei bucata, ma la colpa non è mia, ti volevo dire. T’eri appisolata con l’ago in mano. E l’ago buca…”.

“Lasciamo perdere, quelle erano le calze del mio Amerigo. Sai, lui ormai è un giovanottello. Ci tiene a vestirsi un po’ meglio. Mi sa che punta qualche regazzetta al paese, la domenica. Gli ci vogliono nuove, le calze, altro che rattoppi…”.

“Bene. Giusto. Compragliele nuove, così mi lasci in pace qualche volta e pure tu ti fai un pisolino il pomeriggio d’estate. In santa pace. Ti voglio sentire riposare, anche russare, qualche volta”.

“Sì, riposare. I vecchi perché sono vecchi, i giovani perché hanno da figurare con le ragazze; tutti vorrebbero le calze e il resto nuovo, aggiornato all’ultima moda, i rammendi senza nodi… Ma qui dove si cavano i soldi? Lavoro io dalla mattina alla sera, lavora quel vecchio di mio marito; lavoriamo tutti, eppure si campa a malapena in queste terre magre. Un paio di calze nuove, di cotone per ciascuno, nemmeno  per sogno!”.

“Dì la verità, io una mano te l’ho sempre data a sbrigare le tue faccende, ma oggi ti serve qualcosa di più, vuoi dire. Mi vuoi chiedere di più? Che ti serve?”

“Uovo delle Meraviglie, uovo mio, sei ricco di magia o di soldi? Vedi che ti ho sempre trattato bene ed anche oggi non ti volevo bucare. Meno male che ti ho bucato, almeno parlo con qualcuno…”.

“Sì, ma che ti serve? Ti ho chiesto”.

“Perché, mi puoi dare quel che mi serve? Ma che può uscire di bello e di buono da un uovo di legno? Guarda che in questo momento ti darei tutta la fiducia del mondo. Sono stanca, anche se felice della tua compagnia”.

“Ho capito, nonna mia, sì, dài… Domani sarai ricca. Tutte le carrozze dei Conti, dei Marchesi, dei ricchi passeranno di qui a lasciarti quello che mi ordinerai e a riverirti come una gran dama. In questo podere sarà sempre festa d’ora in poi. A me troverai posto nella vetrina dentro un bicchiere di cristallo e potrai parlarmi ogni volta che mi vedrai. Altro che Cenerentola!…”

“Davvero? Allora vai. Segna: – Mi serve un corpetto nuovo, di velluto, per mio marito. Quello dove attacca l’orologio è tutto consumato. Quando va a far festa non si può guardare. A proposito quattro orologi da taschino per i figli maschi ed uno per collana a mia nuora. Non l’hanno mai avuto e quella ci tiene a non restare indietro. Ha paura che la trascuri come nuora. È gelosa! È proprio gelosa: conta tutto. Ovo mio, fammi fare bella figura, dille che l’ho pensata. Un ricambio per i giorni di festa per i figli lo posso avere?”

“Sì”

“Allora una giacca e pantaloni per ognuno. Segna! Oh, un vestitino completo anche per la nuora, non ti dimenticare. Se no, chi la sente quella! Nei vestiti degli uomini fai trovare in tasca mille lire per uno: andranno al paese domenica e pagheranno da bere a tutti per una volta. Vedrai che figurone faranno! Ci tengono. Questi hanno fatto i soldi al podere, diranno tutti. Oppure, hanno trovato il tesoro della regina di Populonia nascosto sotto il ciocco di scopo nei boschi di Poggiolepre. Ho bisogno di due brocche nuove per la casa, queste ce l’hai? sai dove trovarle?”

“Sì, ma così non diventi ricca né tu, né i tuoi. Per me è fatica sprecata. Non vorresti qualcosa di più prezioso? Per te non hai chiesto nulla?”

“No, non vorrei di più. Se puoi aggiungere un po’ di salute per me, basta. Per la mia famiglia giusto qualcosa per sembrare meno poveri, ma tutti qui devono continuare a lavorare. Fa bene. Arricchisce lo spirito, il cuore, la generosità, l’allegria. È bello vedere i miei uomini cercare un attimo di tempo la sera dopocena per mettersi a cantare tutti insieme, a suonare tutti insieme. Hai visto il mi’ marito come è attaccato alla sua chitarra? E poi i clarini dei figli, che bel suono! Hai sentito il più piccolo come soffia le musichette da quell’ocarina? Ecco penso che a noi serve trovare tempo per questa allegria e per questa armonia in casa. Basta… Se me li farai ricchissimi, ognuno si comprerà villa e carrozze e sparirà.

“Bene, questo non è facile, la serenità in famiglia, ma sarà fatto. Però sappi che stai rinunciando alla carrozza da Cenerentola, ai vestiti fiorati e ricamati. Forse non mi credi tanto potente? Non hai fiducia nelle promesse di un uovo di legno?”

“Oh, sì ho tanta fiducia, troppa. Ma è meglio non esagerare. Non vorrei che si avverasse tanto benessere, tanta ricchezza, e tanta sgargianza addosso a me ed ai miei. Andrebbe in rovina la nostra semplicità, il fattore ci odierebbe…” .

“Me l’hai detto e ripetuto. Ho capito. Ma io, qualora fossi stato bucato in servizio e, se avesse preso aria il mio spirito, come punizione ho l’obbligo di risarcire, arricchire il mio padrone. Tu, nonna mia, non puoi rinunciare all’occasione. Quindi io domani alla stessa ora farò passare da qui davanti una carrozza tempestata di brillanti, tirata da otto cavalli. Sarà una visita silenziosa che, se tu la vedrai e la riconoscerai, dovrai salire e scaricare tutte le ricchezze che vorrai, insieme a tutto quello che hai già chiesto…”.

“Sono contentissima. Tutti creperanno d’invidia. Penseranno che lasceremo il podere e ci compreremo una casetta nuova… Ci verranno incontro per aiutarci a traslocare…”.

Il giorno seguente la nonna riprese la postazione sotto la ficaia, riprese in mano l’uovo, le calze, l’ago e il filo. Non pensò all’appuntamento. Serena si mise  a lavoro e serenamente si addormentò. Sognò ogni genere di ricchezza profumata e appariscente, una musica dolce di clarini, di ocarine e di chitarre pizzicate.

Forse passarono di lì anche i cavalli, forse passò pure la carrozza di brillanti, ma nessuno la volle disturbare tanto era distesa nel suo pisolino. Nessuno la svegliò, tanto meno l’uovo che se ne stava stretto al sicuro nella sua mano.

La nonna, qualche giorno dopo, quando si ricordò delle promesse dell’uovo, capì che la serenità di quel giorno, era stato il dono, la sua ricchezza.

P.S.: dopo questo, mi raccomando, leggete e fate leggere VOLI DI UN FARFALLA. si richiede su Amazon.

 

36 – L’UOVO DI LEGNO

Lascia un commento