39 – La fonte della Ripa e i rapaci che l’abitavano

Falchetti, allocchi, barbagianni, civette ed altri uccelli, rapaci e non, da sempre, anche in antico erano soliti nidificare negli anfratti, nelle crepe e negli sbalzi della Ripa. La Civetta, però, pare che nel periodo medievale avesse preso il sopravvento sugli altri fruitori di quei sassi. 

Dispettosa come non mai, la notte, mentre tutti partivano in cerca di prede e cibo, lei invece non usciva a caccia, ma rimaneva nel suo nido. Aspettava che quelli dei vicini fossero vuoti e indifesi dagli adulti e dai padroni, poi uno alla volta li visitava e li depredava delle uova e degli eventuali piccoli.

Col passar delle stagioni e degli anni i vicini di nido delle civette non soltanto non si moltiplicavano, ma decrescevano nella specie. Sparirono gli uccellini più deboli, diminuivano i falchetti, le poiane, i barbagianni… Rimase qualche allocco ingenuo, perché non si domandava mai come si era fatto tanto spazio intorno a lui. Egli si autocolpevolizzava col fatto che forse era goffo nel corteggiare le allocche. 

Con quel passar di tempo, però, capitò più di una volta che la Civetta venisse sorpresa a rubare nei nidi dei vicini. D’altra parte i nidi erano lì quasi a contatto con il suo, in poco spazio, tutti in fila, facili da raggiungere. Tra gli animali ci fu chi si lamentò senza far troppo chiasso. Quando la maggioranza fu convinta di avere una ladra in casa, convocarono un’assemblea nella parte più libera della rupe con l’intento di deliberarne la condanna e lo sfratto da tutta la facciata della Ripa. Naturalmente la costrinsero ad essere presente senza notificarle l’ordine del giorno. 

Nel giorno e luogo convenuto la Poiana prese la parola e illustrò l’ordine del giorno segreto: <<Cari fratelli ed amici abitanti questa rupe da secoli, ci siamo qui riuniti per constatare un fatto increscioso: le nostre specie, le nostre famiglie, qui residenti da generazioni e generazioni oggi sono ridotte a pochi esemplari, a poche specie, anzi siamo tutti in via di estinzione, perché qualcuno in modo fraudolento non ci ha permesso e non ci permette di moltiplicarci come natura comanda. Ci siamo resi conto, dopo ripetuti accertamenti, che non è affatto difetto nostro, ma è colpa di un amico che alleviamo con noi e al momento opportuno, quando noi ci allontaniamo dal nido, lui ci sostituisce e lo vuota. E’ così da sempre, perché noi da sempre ci siamo fidati della Civetta…>>.

A questa parola un gran frastuono, un gracidio, svolazzi, invocazioni d’aiuto riempirono la facciata della Ripa e la valle circostante, perché tutta l’assemblea non si resse all’ira e, come per un segnale convenuto, fu addosso al designato colpevole.

<<Amici, fermi. Amici, amici miei, fermi, fermi tutti, un attimo… Aspettate…>>, continuò inutilmente a urlare la Poiana, che aveva già perso la parola. 

Passarono invano alcuni momenti, finché gli starnazzi, le vendette personali si acquietarono alquanto. Un Barbagianni un po’ defilato, con tono più pacato, assai tranquillo nel modo di porgersi all’assemblea, intervenne e propose:

<<Amici anche miei, scusate se intervengo nel mezzo della baruffa e delle vendette. Come vedete la condanna della colpevole l’abbiamo quasi eseguita, ma io consiglio che l’assemblea adotti una condanna pubblica e più ragionata, se possibile. Propongo, dunque, prima di una discussa ed equilibrata conclusione con eventuale condanna, di nominare la Capinera a presidente e moderatrice dell’assemblea. Lei, che è là in fondo, sicuramente è interessata e sta seguendo la nostra riunione>>.

<<Sì, sì… D’accordo per la Capinera presidente!>>. Un coro, anzi l’unanimità dei rapaci astanti approvarono la proposta.

L’assemblea nominò la Capinera, conscia della sua imparzialità. Quella dall’angolo in disparte della Ripa uscì allo scoperto e si posizionò nel mezzo a tutti i rapaci, che le incutevano comunque timore e apprensione.

<<Grazie della fiducia, amici. Ho ascoltato il vostro contendere. Spero che vi possa essere utile e soprattutto che teniate presente questo mio servizio quando avrete fame…>>. Seguì un brusio e un aperto applauso.

<<Ho seguito – proseguì la Capinera – il vostro ordine del giorno. Siccome non vi sono argomenti contrastanti o concorrenti, dò la parola al Falchetto. Parli, prego…>>. 

<<Grazie, signora presidente. Signori, amici rapaci, amici volatili, qui tutti siamo stati vittime e testimoni delle ruberie e dei misfatti della Civetta. Non vi sono dubbi, non vi sono attenuanti alla sua colpevolezza. C’è poco da dire, bisogna allontanare dalla Ripa una nemica del genere nostro, dopo averla punita e ridimensionata nella specie e nella parentela, come ha fatto lei con noi. Spero non vi siano dubbiosi>>.

<<Grazie per aver espresso il suo pensiero, Falchetto. La parola al Barbagianni, che si è prenotato…>>, comandò la Capinera.

<<Anch’io non ho dubbi e non sono contrario alla proposta del Falchetto, ma ragioniamo più attentamente. La Civetta ha messo in atto la strategia di distruggere noi, considerandoci rivali, concorrenti nel cibo, forse. Non so che le sarà passato per la testa, attuando il suo piano molti e molti anni fa. Ma, peggio, noi non ce n’eravamo accorti fino ad ora. L’abbiamo sempre tenuta a parte dei nostri piani, dei nostri giochi, delle nostre amicizie… La nostra fiducia è stata mal riposta. Lei l’ha tradita. Abbiamo allevato una serpe in seno, dicono altrove. Non la possiamo liquidare con una semplice vendetta o pena. Allora propongo che la nostra condanna valga per l’avvenire, che sia conosciuta dal mondo intero, presente e futuro. Noi dobbiamo affermare e divulgare che la sua famiglia sia portatrice di malanni, che sia precorritrice di disgrazie e che sia temuta come la sfortuna vivente per tutta la valle. Così che lei sia costretta a nascondersi il più possibile, che il suo canto sia temuto malaugurante, che, perciò, venga evitata, mai aiutata dagli animali e dagli uomini. Per ottenere questo dobbiamo stringere un accordo con le più rinomate fattucchiere del territorio… Vedete voi>>. 

<<Prenda la parola l’Allocco, – tagliò la Capinera -. <<Concluda, lei, visto che non vi sono altri iscritti a parlare…>>.

<<Che volete, che devo dire, io – farfugliò goffo, come insonnolito l’Allocco, come preso alla sprovvista -. Sono d’accordo, amici. Sono proprio d’accordo con voi. Ma perché non le chiediamo se è pentita? Non… non la interroghiamo? Interroghiamola, chiediamole, interroghiamola, che so io? Ma aveva fame la Civetta, quando rubava? E’ sempre stata buona, forse non era lei la ladra e cattiva? Forse, forse… Signora presidente, signora mia, la interroghi, la interroghi. Senta se è pentita, almeno…>>. Poi riprese posizione sul suo ramo come uno appisolato o uno smemorato.

Un gran brusio si alzò là nella Ripa. Qualche rapace strillò: <<Venduto. Che dici? Odio, isolamento e maledizione eterna. Questo ci vuole!>

<<Silenziò, silenzio…, – squillò su tutti la voce argentina della presidente -. Ha ragione anche l’Allocco. Chiudiamo qui la discussione. Ho capito. Mettiamo ai voti le proposte che sono venute fuori dalla dibattito. Ma prima diamo la possibilità alla Civetta di far valere le sue ragioni, se le ha. Di discolparsi, eventualmente…>>. 

Un brusio ostile, cattivo si alzò per l’aere e si alzò di volume, tanto che si percepivano chiari motti di ribellione, di disprezzo verso la moderatrice.

<<Silenzio! Zitti tutti. Silenzio, a questo punto decido io e basta. – Un rigurgito di orgoglio colpì la Capinera, che tirò fuori una grinta inaspettata -. Vogliamo sentir la voce della colpevole, se lo è… Come chiede l’Allocco. La Civetta si avvicini all’appoggio della presidenza>>.

La Civetta s’appropinquò con un volo strambo, rumoroso e incerto e si posò a due ali di distanza, come comandato.

<<Ora, signora imputata e gentile Civetta, ha sentito le accuse, gravi: sono veritiere? Le ricordo che più testimoni l’hanno vista rubare>>.

<<Nobile presidente, è tutto vero. Quasi…, all’apparenza>>.

<<Come sarebbe a dire? E’ vero o non è vero? Non si prenda gioco di questa autorità, né dei suoi amici di una volta>>, la interruppe la Capinera. 

<<Veramente, quando i miei vicini di notte andavano a caccia, ad uccidere il prossimo, a mangiarsi un altro essere compagno di dolori e di traversie in questa vita, io mi alzavo in volo e andavo a visitare i loro nidi, dei miei amici, sì, ma così per solidarietà, per vedere se vi fosse qualche piccolo bisognoso di assistenza e compagnia. Insomma, per vedere se i loro nidi fossero a posto, le uova da covare ancora calde, a controllare che nessuno rompesse quei nidi. Io, però, li trovavo sempre benfatti e vuoti. Allora me ne tornavo indietro. Dunque io non ho mai rubato nulla>>.

A queste affermazioni, qualcuno dei convenuti perse la pazienza e la interruppe: <<Falsa, spergiura. Non si possono sentire queste menzogne. Lei nemmeno si pente. Amici, linciamola qui sul posto. Subito>>.

La Civetta, vista la mala parata, si dileguò e si nascose lontano. Ma pure la Capinera, di fronte a tanta ribellione e violenza, si mise al riparo. Gli assalitori cascarono a vuoto sul sasso della presidenza. Penne e zaffi di piume arruffati, graffiati dai loro corpi volarono per aria. L’ira li aveva accecati e quei pennuti, che si sentirono umiliati ed offesi, colpirono alla cieca, si colpirono tra loro. Non sentirono dolore, ma sentirono la voce dell’Allocco, che, come svegliato da un brutto sogno, alla vista di quello sfacelo, ululò fortissimo, tanto da sopraffare le voci e il trambusto della lotta: 

<<Bestie incivili, indisciplinate. Amici violenti e terribili, forse avete ragione a ribellarvi alla spudoratezza della Civetta, ma ora, calma! Richiamiamo al suo posto la Capinera, che avete spaventata con la vostra esuberanza o violenza. La presidente, proprio la presidente, dico, concluda la riunione. La Capinera, torni al suo posto e concluda il suo pensiero. Insomma dica l’opinione che s’è fatta sulla vicenda, sulla Civetta>>. La Capinera tornò ad insediarsi sul sasso assegnatole:

<<Le cose non si mettono bene. E’ necessario chiudere, perché gli animi non sono sereni. D’altra parte la Civetta è stata sfrontata, vi ha messo del suo per esasperarli. Io, dunque, direi di concludere così: tutti i rapaci, gli amici, i ricorrenti, i giudicanti non hanno più motivo di restare qui alla Ripa, in quanto il destino ve li ha estromessi naturalmente, oggi è uno spazio limitato, stretto. M’è parso di capire. Tutti emigreranno nella Ripa di fronte, a Cellena, alle Rocchette, nella Valle dell’Albegna: avranno uno spazio infinito per nidificare, per dormire, per cacciare. La Civetta è pure un rapace e, se non vi dovranno rimanere gli amici qui alla Ripa, non vi potrà rimanere nemmeno lei. Se non vi saranno gli altri rapaci, pure la Civetta finirà la sua permanenza alla Ripa. 

Di conseguenza non avrà più motivo di rubare o far danni, di distruggere e dire il falso qui. E questo valga per una parte della pena. 

Infine una seconda considerazione, amici. Con tutto questo chiasso, udite le tante voci circa la Civetta: ha fatto danni, ha portato castighi e disgrazie nella famiglie dei vicini; ritengo che debba avere un ostracismo naturale da tutto il vicinato e dalla valle intera. Se la volevate punire, con le notizie divulgate oggi, l’avete fatto. Non soltanto, ma d’ora in poi nessuno in questa valle ascolterà più tranquillamente il suo canto e sopporterà la sua presenza. La Civetta sarà l’uccello del malaugurio, sarà assimilata ad una fattucchiera maldestra che ammorba tutti, anche gli esseri più cari… Così ho deciso. Il consiglio è concluso. La seduta è tolta>>.

In effetti il richiamo della Civetta: “Tutto mio, tutto mio” come pareva risuonare nella valle durante la notte, da allora, convintamente, fu sentito come presagio di guai. Ogni essere vivente nella Ripa e nella Valle si allontanò da lei e preparò scongiuri.

39 – La fonte della Ripa e i rapaci che l’abitavano

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